July 12, 2025

Quando un atleta si ritira, è come se smettesse di suonare la propria musica. Ma il silenzio che ne segue non è mai davvero silenzio. È eco, è memoria, è nostalgia di quel colpo che solo lui poteva inventarsi, di quel modo tutto suo di stare in campo — e nel mondo.

 

Fabio Fognini ha deciso di voltare pagina. Di uscire di scena con la leggerezza di chi ha sempre fatto tutto a modo suo, tra genio e sregolatezza, tra arte e urla, tra imprese e cadute. Un talento mediterraneo, ruvido e brillante, che ha saputo essere unico in un’epoca di mostri sacri. Federer, Nadal, Djokovic, Murray: li ha sfidati, a volte battuti, sempre guardati negli occhi. Non si è mai inchinato a nessuno, se non forse a sé stesso.

 

La sua “last dance”, andata in scena sull’erba sacra di Wimbledon contro Carlos Alcaraz, è stata il preludio più poetico e simbolico possibile. Di fronte al nuovo re, il vecchio ribelle ha dato tutto, sfiorando l’impresa, come solo lui sapeva fare. In quel match, tra vincenti impossibili e sguardi al cielo, c’era già scritta la parola fine. Una fine annunciata, che però sa più di romanzo che di addio.

 

C’è stato un tempo — e non è così lontano — in cui Fognini era l’incarnazione perfetta del tennis italiano che voleva finalmente dire la sua nel mondo. E lui lo ha fatto. Con il trionfo a Montecarlo, con la Coppa Davis, con il suo essere irripetibile. Mai banale, mai costruito. Capace di trasformare un palleggio in opera astratta. Di spezzare il ritmo con un rovescio lungolinea che sembrava uscito dal pennello di un artista in trance.

 

Il suo talento era una scintilla che non seguiva logica. Non era programmabile, non era gestibile. Era vita che esplodeva in campo, con tutto ciò che comporta: anche errori, anche eccessi. Ma chi ama il tennis, quello vero, quello che nasce sulla terra battuta e finisce sotto pelle, sa che Fognini era l’imprevisto, la sorpresa, l’attimo. E per questo, anche quando ci faceva arrabbiare, non si poteva non voler bene a Fabio.

 

Ora, nel momento in cui dice basta, ci lascia un’assenza piena. Perché un giocatore così non si sostituisce. Lo si ricorda, lo si racconta, lo si ringrazia. Perché è stato uno di noi. Con le sue follie, le sue risate, i suoi silenzi. E con quella faccia da eterno ragazzo che sembrava sempre sul punto di combinare qualcosa. E spesso lo faceva davvero.

 

Ha scelto la famiglia, il tempo ritrovato, la libertà di non dover più combattere con il proprio fisico. E va bene così. Perché chi ha dato tutto, ha il diritto di prendersi tutto. E noi abbiamo il dovere di custodire ciò che ci ha lasciato: la bellezza imprevedibile di un talento italiano, testardo e poetico, che ha avuto il coraggio di essere se stesso.

 

E adesso potrà finalmente godersi Flavia Pennetta e i suoi splendidi tre gioielli.
Da oggi, per la famiglia “Cinque Effe”, comincia una nuova partita.
Una nuova vita. Forse meno rumorosa, ma non meno intensa.

 

E poi, diciamolo:
in fondo un po’ brindisino lo è diventato anche lui.
Perché quando ami una donna come Flavia, quando respiri la sua terra, i suoi affetti, la sua luce, quella terra finisce per appartenerti.
E anche Brindisi, ora, ha un campione in più da custodire nei ricordi.

 

Grazie, Fabio.
Non ci mancherai in campo.
Ci mancherai nel cuore del gioco.
Quello che solo i geni sanno far battere

 

Pierpaolo Piliego

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