La risposta a una domanda non proprio pleonastica è nelle foto a corredo dell’articolo. Il luogo è Lugano e il giorno dello scatto è quello del Natale appena trascorso.
Il lungolago è una fila interminabile di panchine tutte rigorosamente rivolte verso la sponda opposta. Su quelle panchine i luganesi, il 25 dicembre, prendono il sole. Contenti d’essere accarezzati dai suoi tiepidi raggi e d’inseguire, con lo sguardo, le scie che i bianchi cigni tracciano su uno specchio d’acqua immobile come una lastra di cristallo.
Uno spettacolo bellissimo e soprattutto insolito di questa stagione. A questo punto fare un paragone con il nostro lungomare è stata una tentazione troppo forte, anche perché, come diceva Oscar Wilde, «il solo modo di evitare la tentazione è quello di cedere».
Ho sempre pensato alle città che si affacciano su una riva chiusa e protettiva e quelle che, invece, hanno di fronte la linea misteriosa dell’orizzonte, dove mare e cielo si congiungono con l’infinito.
L’orizzonte, da che mondo è mondo, fa sempre sentire il richiamo di un altrove dopo quella linea. E si vorrebbe oltrepassarla per andare chissà dove. In altre parole quella linea è il richiamo dell’avventura.
comprende ora la differenza tra un lungolago e un lungomare? Lo sguardo dei luganesi va a rifrangersi sui costoni dei monti che cingono il tranquillo specchio d’acqua; quello dei brindisini, superato sveltamente il rosso Castello Aragonese, si spinge oltre, ammira la spuma dei cavalloni e lascia alla mente la facoltà di fantasticare, senza bisogno nemmeno di panchine. Semplicemente appoggiati alle bitte d’ormeggio o dall’alto della scalinata Virgiliana. Questo è il motivo per cui le persone che, almeno una volta, hanno visto il mare si riconoscono dagli occhi: perché per sempre ne conservano la meraviglia nello sguardo.
E ora l’Autorità Portuale, prima di divenire una dependance di quella barese, con una decisione che ha dell’assurdo, vuole privarci di questo piacere innalzando una barriera poco trasparente e infilzando nel terreno mostruosi pali che potevano nascere solo dalla fervida fantasia di un Miguel de Cervantes.
E la “Città d’acqua” tanto voluta dall’amico Mimmo Mennitti? E le centinaia di metri di binari divelti che, dai tempi de La valigia delle Indie, giustificavano la presenza della seconda stazione ferroviaria di Brindisi, quella Marittima? E il respiro che s’intendeva dare al Seno di Levante? E il prolungamento di una passeggiata (impedita dalla Marina sul Seno di Ponente) che avrebbe dovuto risarcire i cittadini di tutto quello che, negli ultimi anni, gli è stato tolto? Anzi, scippato!
Ma, dicono i signori dell’Autorità Portuale: c’è la Convenzione di Schengen, ci sono motivi di sicurezza, bla bla bla…
E io dico, visto che sono sparite anche le navi che qui arrivavano e partivano in gran numero: mandate a Bari anche quelle per le quali è in piedi questa Convenzione. E lasciate il porto al transito di quelle (poche) “domestiche” e delle imbarcazioni da turismo.
E in questa circostanza quale è stato l’atteggiamento del Comune? Ha dormicchiato mentre procedevano alacremente i lavori della recinzione e della palificazione. Poi, dopo qualche timido tentativo di aprire una discussione, si è rivolto alla Magistratura. Una mossa, a mio avviso, dovuta ma poco sentita. Perché alla Signora Carluccio (non Sindaco, nel suo interesse, visto che a Brindisi quell’incarico porta male, e tanto meno Sindaca perché il termine è sconosciuto nei miei vocabolari) sembra importare poco anche di quel lembo del Seno di Levante.
Prova ne è la bocciatura dell’acquisizione dell’ex Zona nafta, pur avendo il Comune a disposizione per quell’area le basi di un progetto (dettagliatamente descritto nella parte strutturale della bozza di Piano urbanistico generale che stava preparando il prof. Giorgio Goggi) per nuovi servizi ai cittadini e al turismo delle barche di piccolo cabotaggio.
Al riguardo la Signora Carluccio ha addotto l’impossibilità di far fronte alle ingenti spese per la bonifica del territorio quando invece le è stato fatto notare che quelle somme si sarebbero potute rinvenire candidando un progetto a bandi nazionali ed europei!
No, la verità è che quella zona del porto a lei non interessa minimamente. Mi chiedo se ci sia qualcosa, anche solo una, che le stia veramente a cuore. Mi chiedo se addirittura abbia un cuore che batta per questa città.
A farle buona compagnia c’è però anche il Commissario Straordinario dell’Autorità Portuale. All’inizio del mandato ho sperato che, da buon marinaio, conoscendo bene i problemi della portualità brindisina, avrebbe potuto riparare i disastri delle conduzioni infelici (nazionali e internazionali) da parte di chi, in quell’Ente, ha remato contro l’affermazione di uno dei porti più belli e funzionali del Mediterraneo. Oggi devo riconoscere che purtroppo mi ero sbagliato.
Ma torniamo all’ “occultamento” del vista mare a danno dei cittadini e dell’assurdità di tirare su recinzioni umilianti (oltre che costose) per chi vive qui e ridicole (come i cubi “mobili” di marmo a filo di banchina…) per i turisti.
Intanto, ove il progetto andasse avanti, bisognerebbe pensare a un cambio di denominazione toponomastica. Via del Mare, con il mare, non avrebbe più ragione d’essere.
In secondo luogo, a proposito del vezzo di nascondere il mare, credo sia il caso d’andare indietro nel tempo. Mario Pagano, un martire della Repubblica partenopea del 1799, scrisse una norma che suona in anticipo anche per i nostri tempi di abusi e prevaricazioni private e pubbliche: «La distanza tra gli edifici, la norma della loro altezza e la distanza per non impedirsi la vista del mare». Capite? In piena rivoluzione riteneva giusto non perdere la vista sugli spazi lontani dal mare. Lo impiccarono, ma non per questo motivo. Aveva 51 anni.
Allora che si fa? Vogliamo veramente che il nostro porto si trasformi in un lago? Bello per quanto si voglia, ma pur sempre un lago. O, appoggiati alle bitte, continuare a sognare quello che c’è al di là della linea dell’orizzonte?
Guido Giampietro
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