Ho letto con molta curiosità e attenzione un cliccatissimo e apprezzatissimo post di Oreste Pinto, su Facebook, che rimanda a un proprio articolo del 9 dicembre scorso su Brundisium.net («Piazza Mercato, la visione di Perchinenna e la sfida di Brindisi: la “Boqueria” possibile»), che a sua volta rilancia un’immagine realizzata da Alessandro Perchinenna con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.
Con una simulazione molto realistica, grazie alle sue indiscutibili doti tecniche e creative, Alessandro mostra una possibile nuova veste di Piazza Mercato di Brindisi, prefigurando per il luogo storico della città una sorta di riqualificazione sia estetica sia funzionale. Tramite un revamping architettonico (virtuale), una delle due tettoie liberty diviene spazio al chiuso per convivialità e degustazione di alimenti (si presume street food), secondo un format molto diffuso invero da diversi anni, operazione – per inciso – che può aver funzionato in strutture già vuote e in abbandono.
Oreste non esita a sposare tale suggestione, attribuendole «il pregio di andare dritta al punto: immaginare Piazza Mercato di Brindisi come la Boqueria di Barcellona, come il Mercato Centrale di Firenze (filiale di una catena di proprietà di una holding con diverse sedi in Italia, N.d.R.), come tutte quelle piazze europee capaci di trasformare un luogo storico in un motore di vita urbana». Per chiosare, dopo puntuali e condivisibili riflessioni, apprezzando una visione che «più che un esercizio estetico, è uno sguardo concreto su ciò che Piazza Mercato, e tutto ciò che le ruota intorno, potrebbe diventare: un luogo vivo, riconoscibile, contemporaneo».
Per tali ragioni il post ha ovviamente riscosso centinaia di like e di commenti entusiastici e decine di condivisioni (che hanno moltiplicato le già tantissime reazioni, pressoché tutte positive).
Peccato non sia dato sapere che fine farebbero i numerosi venditori di ortofrutta che animano la piazza da oltre centodieci anni.
Ora, è appena il caso di notare che Piazza Mercato è già «un luogo vivo, riconoscibile, contemporaneo». Uniformarlo a un modello standardizzato significherebbe sacrificarne l’autenticità sull’altare di una gentrificazione che sta intossicando i nostri centri storici.
Si sta inseguendo un turismo che potrebbe anche far bene al tessuto economico del territorio, ma con pesanti costi in termini di speculazione immobiliare, di dinamiche espulsive a danno della popolazione residente economicamente più debole e delle attività commerciali e artigianali storiche, nonché – aspetto fondante – di perdita di identità, senso di appartenenza, comunità, memoria storica.
Estremizzando (ma non troppo) il concetto, assistiamo in sostanza a un processo, per dirla con Serge Latouche, di «macdonaldizzazione» frutto dell’omologazione di linguaggi, identità, immagini e – segnatamente – spazi di socializzazione. E l’idea di Alessandro Perchinenna, per quanto suggestiva e per questo elogiata da molti, temo segua questo solco.
Piazza Mercato di Brindisi – limitatamente alla sola area esterna coperta in parte dalle straordinarie tettoie in ferro – svolge oggi una duplice funzione che andrebbe solo corroborata sul piano logistico-funzionale e, per certi versi, estetico: al mattino mercato ortofrutticolo vivo e vegeto, quotidianamente frequentato da residenti e lavoratori del centro cittadino, oltre che sempre più da forestieri e turisti; di sera spazio vocato alla ristorazione e a un certo tipo di movida (non quella ipernotturna e/o chiassosa, per intenderci), con occasionali momenti di intrattenimento musicale cui si presta ottimamente.
Il volto mattutino, i cui tratti vanno sempre più affievolendosi negli ultimi anni restando pur sempre vividi, non va assolutamente alterato, tantomeno stravolto con interventi di maquillage architettonico, o addirittura cancellato: la «chiazza» deve restare tale, senza «se» e senza «ma», conservandone in primis l’utilità, se non vogliamo perdere quel poco che ancora persiste delle tradizioni, delle abitudini e dell’eredità storica che innervano il tessuto sociale della nostra collettività. Necessita tuttavia di un restauro – questo sì, e anche urgente, naturalmente previa valutazione e autorizzazione della Soprintendenza – perché il degrado non comprometta ulteriormente le strutture metalliche e le coperture già ammalorate.
Riguardo all’aspetto serale, il discorso si fa più articolato e andrebbe esteso all’intera giornata: qui – convenendo dunque con Oreste Pinto – si potrebbe coniugare il rispetto del quotidiano, della tradizione e della storia con un rilancio in chiave turistico-culturale di un sito che, nella sua splendida articolazione, interezza e versatilità, dispone di spazi utili alla realizzazione, appunto, di quell’«asse commerciale e sociale di grande forza» da lui prospettato.
E qui entra in gioco il mercato coperto, ittico per vocazione, scelleratamente parcellizzato in occasione di una ristrutturazione miope e irrispettosa della destinazione «naturale» e dello spirito del luogo, e per questo tristemente sottoutilizzato. Ripristinarne, nella sua razionale essenzialità, la spazialità originaria e farvi convivere la vendita di prodotti ittici e quella di alimenti da consumare anche sul posto potrebbe essere un’opzione praticabile che non ne snaturerebbe la funzione commerciale e soprattutto sociale.
In un’osmosi tra i locali di proprietà comunale (da concedere in locazione a operatori seri e affidabili, sia professionalmente sia finanziariamente) e gli spazi antistanti all’interno della suggestiva piazza, si (ri)creerebbe – e qui di nuovo concordo con Oreste – quell’«ecosistema urbano che oggi percepiamo solo in parte, ma che con un progetto serio potrebbe finalmente emergere nella sua interezza».
Servono scelte coraggiose e lungimiranti frutto di una visione – ma anche di una visionarietà – che porti, come condivisibilmente sostiene Pinto, ad «alzare l’asticella» e a «ridisegnare il futuro dell’intera area con coerenza, immaginando funzioni, spazi, flussi, opportunità», mirando appunto a intercettare finanziamenti pubblici e investitori privati perché il progetto nella sua stimolante, suggestiva e ambiziosa (ma non per questo irrealizzabile) complessità possa concretizzarsi con i benefici economici, sociali e culturali che certamente ne deriverebbero.
Domenico Saponaro
