Le vendite natalizie hanno mostrato un andamento differenziato tra i vari comparti. Il settore alimentare si conferma trainante, come accade ormai da anni: è l’unico ambito in cui la spesa cresce stabilmente, sostenuta dalla centralità dei consumi domestici e dalla tradizione conviviale delle festività.
Il comparto moda e accessori, invece, registra una dinamica più complessa: il peso crescente delle promozioni anticipate, del Black Friday e della concorrenza online continua a comprimere i margini e a spostare gli acquisti fuori dal perimetro del commercio di prossimità. È in questo contesto che si inserisce l’imminente avvio dei saldi invernali, fissati quest’anno al 3 gennaio, con tre giorni di anticipo rispetto alla data tradizionale del 6 gennaio.
L’anticipo deriva dall’applicazione degli indirizzi unitari delle Regioni, che prevedono l’avvio dei saldi nel primo giorno feriale precedente l’Epifania.
Nel 2026, il primo giorno feriale utile cade appunto il 3 gennaio. Una scelta che incontra, come sempre, la contrarietà di Confesercenti e in particolare di Fismo, l’associazione del settore moda. Le ragioni sono chiare e ribadite da tempo: l’anticipo dei saldi compromette la tenuta delle vendite natalizie e svuota di senso la definizione stessa di “vendite di fine stagione”. Gli esercenti segnalano che una partenza così precoce “penalizza gli acquisti natalizi” e chiedono uno slittamento di almeno 20–25 giorni.
Del resto, è difficile sostenere che si tratti di saldi invernali di fine stagione quando l’inverno è iniziato il 21 dicembre e i saldi partono il 3 gennaio: appena 13 giorni dopo. Una distanza temporale che non consente né la fisiologica rotazione della merce né una reale percezione di fine ciclo da parte dei consumatori. Questo meccanismo produce effetti distorsivi noti: – allontana la clientela, che non distingue più tra prezzo pieno, promozioni e saldi; – genera sfiducia, perché la percezione di “sconto permanente” svaluta il valore del prodotto e del lavoro degli esercenti; – favorisce comportamenti scorretti: se i saldi arrivano quando la stagione è appena iniziata, molti operatori sono spinti ad aumentare i ricarichi iniziali per poter poi applicare sconti nominali senza perdere margini. È un effetto sistemico, non una colpa individuale: quando la struttura delle regole è incoerente, il mercato si adatta in modo altrettanto incoerente.
A confermare le difficoltà del settore arriva anche la testimonianza diretta degli operatori, che sintetizzano così il problema: «O si ristabilisce la logica davvero stagionale dei saldi, oppure — se si vuole salvare uno dei comparti economici che genera il maggiore impatto occupazionale — il legislatore deve mettere mano alla normativa fiscale e del lavoro oggi applicata al settore. Non si può continuare a chiedere sostenibilità a chi opera in un quadro che di sostenibile ha sempre meno.» Per queste ragioni Confesercenti ribadisce la propria posizione: i saldi devono tornare a essere davvero di fine stagione, non un’operazione di inizio stagione mascherata.
L’associazione continuerà a insistere presso gli organi competenti affinché si ristabilisca un calendario che tuteli la dignità del commercio, la trasparenza verso i consumatori e la sostenibilità economica delle imprese
