June 16, 2025

0530 stl facebook.jpgNell’odierna società, quella che Zygmunt Bauman definisce “liquida”, è difficile trovare punti di riferimento capaci di garantire continuità e solidità. Così, alla fine, ognuno prova ad arrangiarsi, a crearsi da solo la propria identità.

E poiché l’Io si riconosce solo nel confronto con l’altro e si realizza nell’approvazione dell’altro, ecco che il bisogno spasmodico di una piazza telematica ove si ritrovino gli spaesati componenti di questa società è diventato mondiale.

 

A questa esigenza rispondono i network sociali, primi tra tutti Facebook e Twitter che, utilizzati da milioni di persone nel mondo, offrono la possibilità di stabilire relazioni praticamente illimitate. Ne risulta l’immagine di un utente del social network immaturo, narcisista, continuamente bisognoso del riconoscimento altrui.

E poiché nella comunità virtuale non c’è nessuno che possa realmente garantire l’identità dell’altro, la richiesta rimane inappagata. Peggio ancora, frustrata.

Ne consegue che l’utente si dimostra incapace di concentrazione e di attenzione prolungata. Senza parlare dell’incremento esponenziale di banalità che circolano in Rete. Come, per esempio, il continuo ricambio della propria immagine, del proprio “profilo”, nell’affannosa ricerca di una identità nella quale, alla fine, riconoscersi e farsi riconoscere.

 

È un po’ il caso del bambino che chiede insistentemente alla madre: «Guardami!». In questo caso però, del tutto naturale, è la mamma ad assicurarlo con uno sguardo, magari un po’ più dolce del solito. Su Facebook, invece, l’appello viene tacitato con uno sbrigativo e assolutorio “mi piace”.

 

facebook like no likeC’è intanto da dire che il pulsante “like” esprime un sentimento ambiguo, perché manca il “dislike”, il “non mi piace”. Ma è ambiguo anche il segno che ha reso famoso il “like”: il pugno a pollice alzato. Gesto fatale a molti gladiatori dell’antica Roma, ma non è chiaro in che senso: il pugno a pollice sguainato, orizzontale o all’ingiù, invocava la morte, ma non è certo che quello all’insù significasse salvezza.

 

Dilaga poi, con Facebook, l’auto-compiacimento diffuso, che genera milioni di “like” al giorno: pollici di gradimento che valgono molto per le aziende. Motivo per il quale, personalmente, mi astengo dall’invito a cliccare un “mi piace” sulle vetrine che mi vengono suggerite (oltre a non cadere nella trappola dei giochi perditempo). Con le eccezioni per qualche amico “vero” a cui mi dispiace dire di no…

A conferma della pericolosità che si nasconde sotto l’innocuo segno del “like” la notizia che nel 2013, in Bangladesh, il Guardian ha scoperto delle “fabbriche di like” che sfruttavano migliaia di lavoratori, pagati dieci dollari per ogni mille “like”!

 

identita facebookMa, oltre a questi aspetti, ve ne sono altri che ridimensionano lo spropositato successo dei social network. Primo tra tutti il fatto che sono del tutto inutili a fare marketing culturale. Entrare su Facebook o su Twitter per promuovere un libro, un film, pubblicizzare una mostra o farsi conoscere come musicista è del tutto inutile.

Possono funzionare ˗ e funzionano ˗ solo per raggiungere gli amici e i conoscenti e comunicare loro una propria performance, di qualunque genere artistico si tratti. Funzionano, in altri termini, come dei cordless che, senza aggravio di spese telefoniche e senza il rompicapo degli indirizzi che misteriosamente spariscono dalle rubriche, permettono di tenere sempre vivi i contatti, non solo con gli amici, ma anche con gli amici degli amici.

Ma quando si passa dal virtuale alla realtà i social non funzionano. Non sono il punto di partenza di una nuova socialità, capace di arrivare con più facilità a chiunque, e quindi in grado di ottenere risultati.
Nel teatrino dei social, in questo condividersi ed elogiarsi, mostrare il proprio talento e la propria arguzia esiste sempre quel tasto da cliccare: il “mi piace”. Mi piace equivale a “sono d’accordo”, ma non è la stessa cosa. Giacché l’essere in accordo prevede una procedura logica, vuole un ragionamento, una scelta. Si può essere d’accordo fuori dal principio di piacere. Si può essere d’accordo anche quando non ti piace esserlo, ma è necessario.

Il principio di piacere, invece, è un’altra cosa. Non è adesione, ma sentimento, coinvolgimento. Il mondo non si divide tra “mi piace” e “non mi piace”. Sarebbe troppo semplice e anche un po’ sciocco. Freud sapeva bene che il principio di piacere è contrapposto al principio di realtà. E mai come in questi anni questa contrapposizione appare evidente.

tastiera-facebook-mi-piaceMi piace il tuo libro ma non lo compro (ne sa qualcosa il sottoscritto…).

Mi piace la tua campagna umanitaria ma non dono un euro.

Mi piace l’evento che mi proponi, ma non verrò.

Il principio di realtà è un’altra cosa, e oggi più che mai è seriamente in pericolo.

Il principio di piacere, invece, è diventato un click che usano oramai tutti e quasi sempre a sproposito.

E ci dice che si sta generando un gioco pericoloso che simula la vita senza attecchire, proprio come le piante senza radici.

 

Come se non bastasse, negli ultimi tempi, grazie al fiorire e rifiorire di guerre nelle varie parti del mondo, si utilizzano i social per mandare in onda scene cruente, da voltastomaco. A postare queste foto e filmati sono amici non solo virtuali, ma anche reali. E così vieni a scoprire un lato del loro carattere che fino a quel momento ti era ignoto.

E rimani scioccato nel vedere che l’amica amante dei micini ed animalista convinta va a postare su Facebook la foto di un bambino, presunto palestinese, con il cranio tranciato a metà e la materia grigia sparsa un po’ ovunque! Ma non sono da meno, in quanto a crudezza, le scene di cani e gatti mostrati con le teste mozze!

A che cosa attribuire questa moda?

Protagonismo, voglia di scuotere le coscienze, o semplice piacere del macabro?

Soprattutto, cui prodest? Probabilmente non interessa nemmeno ai voyeur di professione.

Quale vantaggio può mai apportare quell’immagine straziante alla soluzione della causa palestinese?

Sono ben altre le azioni che si dovrebbero fare per dimostrare il proprio dissenso, per gridare la voglia di pace. E la vista di un gatto messo in croce può giovare alla causa degli animalisti?

 

Naturalmente i social, se impiegati nel modo giusto, hanno la loro utilità e talvolta sono capaci di autentici miracoli (come nella raccolta, in poche ore, di 120 mila dollari necessari per operare il piccolo Down rifiutato dai genitori biologici australiani).

L’importante, perciò, è non farsi prendere la mano e rimanere coi piedi ben saldi per terra.

Bisogna, insomma, dare la precedenza al principio di realtà su quello di piacere.

E con il “mi piace” ˗ mi raccomando ˗ andiamo cauti.

 

Guido Giampietro

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