“Ti odiano se sei intelligente e poi disprezzano gli imbecilli finchè diventi fottutamente pazzo che non puoi seguire le loro regole. Bisogna essere un eroe della classe operaia”. (John Lennon)
Dario partì per il Veneto, sede del suo nuovo lavoro come guardia giurata. A Padova aveva trovato una stanza ammobiliata con un bagno provvisto di doccia a 600.000 lire di affitto al mese. Sulla porta, un cartello in bella mostra recitava:
“Non si affitta ai meridionali”.
Sul muro di fronte alcune scritte con lo spray verde inneggiavano:
“Il Veneto ai veneti”
Inevitabile fu la risposta di alcuni goliardici studenti meridionali:
“Tenetevelo caro caro!”
Dario si era presentato al titolare di quell’appartamento dichiarando:
“Io sono salentino, sono qui per lavoro. Può affittarmi il locale?”
Il titolare si chiamava Ciro, per gli amici, Ciruzzo. Era di origini campane. Il padre era di Serino in provincia di Avellino, marittimo di professione. Nei suoi lunghi viaggi in mare aveva conosciuto e poi sposato una ragazza di origine magrebina, quasi rapita e salvata dalle violenze fisiche e verbali della propria famiglia.
Il padrone di quella stanza non comprese bene la provenienza del nuovo ospite. Era troppo preso nel suo Valdobbiadene frizzante bianco che non chiese nemmeno i documenti. Era interessato solo all’anticipo dell’affitto in contanti. Il denaro serviva per pagare i debiti di gioco. La vita nella nuova regione scorreva placida e monotona. Si lavorava e si tirava avanti.
Dario fece solo brevi ritorni nella sua terra natale. Negli angoli bui della notte cresceva il disagio dell’animo umano.
La chitarra e i blues di Robert Johnson, Muddy Waters e John Campbell gli facevano compagnia dopo i turni di lavoro. Dario, con la chitarra in mano, riusciva a dipingere l’idea della solitudine che si può provare lontano da casa.
In Veneto non aveva molti amici e i colleghi di lavoro preferivano stare a casa seduti davanti al televisore.
Durante la settimana alcuni colleghi si concedevano la partita di calcetto e la pesca sul fiume Brenta. Molti non condividevano l’interesse per la musica, il cinema e il teatro.
Nei pochi momenti liberi, Dario amava frequentare Prato della Valle, una delle piazze più grandi d’Europa, dove aveva conosciuto dei giovani studenti universitari durante un Festival dell’Unità. Dario era attratto dal mondo scolastico e dalla realtà politica studentesca. Aveva visitato il loggiato del Cortile Antico del Palazzo del Bo.
Il fascino dell’antica Università lo aveva convinto a riprendere gli studi con la frequentazione dei corsi serali per i lavoratori. Il coperchio del nuovo mondo di Dario era stato sollevato e qualche bruttura aveva iniziato a venir fuori. Il giovane artista pugliese, come nuovo vigilante, iniziava a fare i conti affrontando un cambiamento impetuoso.
Non si fece scoraggiare dal nuovo approdo lavorativo, rappresentava una nuova strada da bruciare sotto le ruote della propria storia.
Dario aveva scoperto un nuovo mondo. La vigilanza privata era un settore in continua evoluzione. Molti colleghi erano presenti negli aeroporti, nelle banche, nei servizi commerciali della media e grande distribuzione. La vigilanza, nel tempo, diventerà un settore complementare a quello delle forze dell’ordine, ma che vivrà nel silenzio dormiente e nell’immobilismo delle Istituzioni per un miglioramento a livello giuridico, sociale ed economico. Dario era stato adibito come scorta armata sui furgoni blindati portavalori sulla tratta Padova-Mestre e Verona-Vicenza. I turni erano variabili nell’arco della settimana, a volte senza logica, per un lavoro pericoloso, stressante e senza alcuna possibilità di crescita.
“Hai visto bambini viziati vestiti da fasci, gendarmi corrotti agire nell’ombra picchiare le mogli vestiti da donna” (I Congiurati)
Il capoturno già al mattino puzzava di grappa. Era un tipo grassone con i baffi, capelli radi e visibilmente lucidi. Aveva uno spiccato accento veneto e non era molto in sintonia con i meridionali e gli extracomunitari. Vestiva poco la giacca della divisa durante il servizio. Portava una maglietta nera a maniche corte anche durante l’inverno con il logo del tricolore in evidenza. Indossava la fede sul dito anulare ma amava organizzare cene a luci rosse insieme ad alcuni colleghi compiacenti.
Durante il servizio cantava sempre lo stesso ritornello:
“E mi e ti e ‘l Toni narem da la tetona, ghe palperen la mona, e mi e ti ‘l Toni narem da la tetona ghe palperem la mona con tute le do man!” (Canzone popolare veneta)
Qualcuno al sindacato sembrava pronto ad ascoltare i lamenti dei lavoratori ma nello stesso tempo a girarsi dall’altra parte ed a informare la proprietà al momento opportuno. In quel lavoro come vigilante, Dario aveva trovato tanta umanità e un gruppo di persone che sacrificavano la propria vita privata e quella famigliare in cambio di stabilità e di uno stipendio sicuro, seppur poco remunerativo.
C’erano tanti occhi lucidi e menti aperte che illuminavano con calore straordinario degli uomini dediti al servizio con grande impegno, professionalità e sacrificio. Dario comprese quel mondo e ne ammirò solo una parte. Le armi e le chitarre potevano stare insieme solo nel nome di una band. Era tempo di scegliere.
Si chiedeva se continuare a fare quel lavoro con uno stipendio sicuro o coltivare ancora l’idea di fare musica inseguendo i propri sogni attraverso l’arte. Un’utopia, poche certezze, una speranza che gli sorrideva come un inno alla vita.
“Il giorno del Signore arriva come un ladro nella notte”. (James Brown)
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