May 7, 2025

Il termine cyberpunk è il risultato della fusione di due parole: cibernetics e punk. Il neologismo fu coniato nel 1982 dallo scrittore Bruce Bethke, il quale era alla ricerca di un titolo, che spiegasse in modo esauriente l’argomento del suo racconto breve. La storia di un gruppo di giovani hacker, i quali sfruttando le loro abilità con i computers, commettevano crimini informatici. Riguardo la gestazione del neologismo Bethke ha asserito: “già dalla prima stesura ho cercato [ il corsivo è nell’originale] attivamente di inventare un termine che segnasse una giustapposizione tra le attitudini punk e l’alta tecnologia. Le ragioni di un’azione di questo tipo erano puramente egoistiche e commerciali: desideravo dare al racconto un titolo scattante e di una sola parola che la gente potesse ricordare.”1

Mosso da questi intenti, lo scrittore ha avuto il brillante colpo di genio di partorire il termine cyberpunk dove: punk è un chiaro riferimento al movimento musicale e culturale sviluppatosi negli anni 70, espressione di tendenze ribelli, controculturali e sovversive. Cyber è invece un tributo alla cibernetica, la scienza fondata da Norbert Wiener, che ha reso possibile gli attuali traguardi tecnologici.

Cyberpunker dunque: ribelle, contestatore, tecnologico, colui che denuncia la società attraverso la tecnica che essa stessa ha prodotto; una parola che coniuga l’underground controculturale con la scienza, delineando un nuovo modo di fare protesta.

La storia di come la parola è arrivata a designare il movimento e i suoi esponenti, così come oggi sono conosciuti, è stata anomala, poiché il nucleo originario di scrittori era già attivo da diversi anni, con un nome diverso dal termine cyberpunk, che fu loro attribuito solo nel 1986.

Il nome, che i primi artisti cyberpunk avevano scelto, era Mirroshades Group, il gruppo degli occhiali a specchio, i quali, come ha spiegato uno dei pardi fondatori del movimento, Bruce Sterling, “sono il simbolo dei visionari che fissano il sole, del centauro, del rocker, del poliziotto e del fuorilegge. Gli occhiali a specchio, preferibilmente neri ed opachi […] Facevano la loro comparsa racconto dopo racconto come una specie di marchio del movimento.”2

E proprio Sterling ha contribuito alla diffusione del genere letterario pubblicando un’antologia nel 1986, che conteneva una serie di racconti brev, dei principali esponenti del movimento: William Gibson, Pat Cadigan, Rudy Rucker, Lewis Shiner e Sterling stesso. La raccolta era simbolicamente intitolata Mirrorshades, un tributo al nome originario del nucleo.

Sempre nel 1986, il termine cyberpunk piombò sulle teste del gruppo degli occhiali a specchio, che furono quasi costretti ad accettare questa nuova etichetta, in sostituzione della precedente. Causa di ciò fu Gardner Dozois, il curatore dell’Isaac Asimov’s Science Fiction, il quale prese a prestito la parola coniata da Bethke, per indicare un’intera categoria di autori, accomunati da medesime scelte stilistiche e contenutistiche.

Destino ha voluto, che il termine abbia avuto immediatamente fortuna fra gli scrittori ed il pubblico; Dozois, pur con l’intenzione di denigrare queste produzioni, ha avuto, inconsciamente, il grande merito di individuare un unica parola, che esemplificava in modo perfetto la caratteristica peculiare del movimento: fare controcultura attraverso al tecnologia, fondere protesta e hi-tech.

L’ibrido pop-tecnologico permise la rapida diffusione di questo genere letterario fra un vasto pubblico di lettori, i quali “ non si limitavano a leggere fantascienza, erano esterni al ghetto del genere e preferivano frequentare trasversalmente la musica pop e d’avanguardia, il video e il cinema indipendente, il fumetto e le arti visive, tutte le pratiche e gli strumenti dell’estetica garage.”3

Un pubblico tanto eterogeneo era accomunato dall’interesse verso la più grande novità introdotta dal cyberpunk: il racconto della simbiosi fra l’uomo e la macchina, che in questi racconti diventava totale. Questo legame perdeva l’astrattezza e l’ingenuità della fantascienza classica, in favore di una tecnica “umanizzata”, che pervade l’uomo a livello biologico e cognitivo.

La massima dello scrittore William Gibson secondo cui “ la strada trova il proprio uso per le cose”, è un invito ad aprirsi alle interazioni con le macchine e la tecnologia in generale, espressione di un campo di nuove possibilità evolutive.

Questa visione possibilistica della tecnica trova completa maturazione nelle tematiche affrontate dal movimento: “l’invasione del corpo, membra prostetiche, circuiti impiantati, chirurgia cosmetica, alterazioni genetiche […] L’invasione della mente, le interfacce cervello computer, intelligenze artificiali, neurochimica.”4

Una possibile definizione di cosa sia il cyberpunk, è stata data da Rudy Rucker, nel suo saggio What Is Cyberpunk?: “la narrativa cyberpunk per come la vedo io si occupa essenzialmente di informazione […] Il che avviene a diversi livelli. A livello dei contenuti un opera cyberpunk parlerà spesso di computer, di software, di microprocessori ecc… A livello superiore, essa cercherà di arrivare ad un più avanzato stadio di complessità dal punto di vista della teoria dell’informazione […] In sostanza quello che io chiamo cyberpunk è una fantascienza colta, ma di facile lettura, che contenga molta informazione e che dica qualcosa sulle nuove forme di pensiero derivate dalla rivoluzione informatica.”5

La definizione di Rucker riassume il motivo del grande successo del cyberpunk, e motiva lo studio di questo genere letterario, che si configura come un elettroencefalogramma del nostro “immaginario di silicio”, la nuova frontiera della fantasia umana, plasmata sulla e dalla tecnologia. I romanzi, i racconti e i personaggi che popolano questa narrativa, sono trasfigurazioni dei sogni e delle inquietudini di una generazione, che ancora prima di utilizzare la tecnologia, la vive.

1 http://www.intercom.publinet.it/cp.htm

2 Bruce Sterling, Mirroshades. L’antologia della fantascienza cyberpunk, tr. it., Fabbri Editori, Milano, 1994, p17,18

3 Ibidem, p.10

4 Ibidem, p.20

5 Ibidem, p.11

 

James Lamarina

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