September 19, 2024

Io non sono mai riuscito ad essere me stesso, a parlare in modo aperto con la gente, a farmi valere, come in genere si dice.

 

Mi accompagna da sempre una sensazione di inadeguatezza; una sorta di vergogna congenita, sempre presente, soffocante e paralizzante che mi fa compagnia da quando ho memoria.

 

Forse questa è la ragione per la quale mi ritrovo qui, come un coglione, a quarant’anni suonati, nascosto su un terrazzo a scrutare con un vecchio cannocchiale della Marina Militare piazza Vittoria sotto di me.

 

Dopo mesi di chat e di sms, Stella, così si fa chiamare ma sono sicuro che non sia il suo vero nome, mi ha dato appuntamento proprio qui, a Piazza Vittoria, oggi, alle tre di pomeriggio, – vieni con una camicia bianca di lino come quelle che porti da sempre, mi faccio riconoscere io – .

 

Lei mi conosce, sa chi sono, le piaccio, non dovrei avere nessuna vergogna, nessun timore di non piacere o di non essere all’altezza delle sue aspettative ma … non ce la faccio, è più forte di me: ho paura.

 

Meglio osservarla da qui, di nascosto … poi si vedrà.

 

E’ stato sempre così: sono sempre stato attraversato da un senso di sottile inidoneità, quasi di insufficienza.

 

Da bambino ricordo il periodo precedente il carnevale; mi è sempre piaciuto mascherarmi e già settimane prima del veglioncino riuscivo ad ottenere dai miei genitori l’abito desiderato.

Un anno fu Zorro, poi Tarzan e poi mister Sullivan dei Monster & co.

Erano abiti bellissimi, completi di spade, clave, maschere e trucchi per il viso.

Ottenevo ciò che volevo perchè a scuola ero bravissimo, un portento.
Io quei vestiti, però, non li ho mai indossati per nessun veglione e in casa mi sembrava inutile.

Mi limitavo a studiarli nei dettagli, a valutarne l’ampiezza per decidere cosa indossare sotto di essi per stare caldo, in genere pantaloni di flanella ed una felpa perchè mia madre temeva molto che mi raffreddassi e potessi avere una broncopolmonite – come tuo cugino Andrea che è stato veramente male e solo gli angeli lo hanno salvato -.

 

Quegli abiti colorati, quelle stoffe lucide e profumate, quei pugnali e quelle armi di plastica mi facevano felice e la mia felicità durava giorni e giorni e si affievoliva con l’approssimarsi del giorno del veglione.

 

Sapevo che non mi sarei mai mascherato.

Sapevo che, arrivato quel giorno, una vergogna profonda e totale mi avrebbe impedito di farlo.

 

E sapevo che avrei resistito ai complimenti di mia madre, – come stai bene amore mio, sei la mascherina più bella della scuola -, alle esortazioni di mia zia , – dai, fammi vedere come stai, mi hanno detto che hai un vestito bellissimo – , e, dopo ore ed ore, alle minacce di mio padre, – con tutti i soldi che mi hai fatto spendere devi vestirti per forza, se non lo fai non chiedermi mai più di mascherarti – .

 

Il terrore del giudizio degli altri mi paralizzava sino a togliermi il fiato.

 

Arrivavo ad inventare complicati malesseri ed a mimare sintomi allarmanti che in altri momenti avrebbero gettato i miei nello sconforto più cupo pur di non andare a scuola nel giorno del veglione.

 

Gli altri bambini sarebbero stati pronti a trasportarmi in giro per la città coprendomi di insulti e di parolacce; nei loro occhi avrei letto un misto di disapprovazione e di disgusto; negli sguardi degli adulti sarebbe stata presente compassione o pietà per quel povero bambino incapace di rappresentare Zorro, troppo piccolo per essere Tarzan, troppo magro per Sullivan.

 

Avrei camminato male, sarei inciampato, gli occhiali si sarebbero appannati e tutti avrebbero riso di me.

 

Il più bel vestito non mi avrebbe salvato dalle figuracce.

 

Meglio niente, e niente, infatti, è sempre stato.

Era la stessa insicurezza che provo adesso, qui, su questa terrazza.

 

E però la mia vita non è una brutta vita; non sono infelice, o, almeno, non credo.

Infelice? No, penso proprio di no … ho quarant’anni e un buon lavoro … non dovrei proprio esserlo.

 

 

(fine prima puntata, continua)

A.Serni

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