May 4, 2025

COME ERAVAMO, NOI GENERAZIONE DEGLI ANNI ‘60
Viaggio alla ricerca delle cose, delle storie e delle emozioni vissute sotto la dolce ala della giovinezza
di Gabriele D’Amelj Melodia

 

III- MA TORNIAMO ALLE SCOPERTE LETTERARIE …
recensione-di-tropico-del-cancro-di-henry-mil-l-mhe_vi1Cielo d’indaco sgombro di filacciose nubi, scarni alberi a distesa infinita. Alberi tetri, spettrali, con tronchi pallidi come cenere di sigaro…” inghiottivo avido quella prosa poetica piena di un rarefatto fascino sospeso, aspirando un’esportazione senza filtro, quella col pacchetto verde mela con su impresso il disegno di una caravella…con le vele disegnate al contrario. Sul mio Lesa color pelle d’elefante girava veloce un 45 giri dei Platters.

 

Leggevo avidamente “Tropico del cancro” di Henry Miller, sottratto dallo scaffale più alto della immensa libreria di mio padre il quale pensava, con quell’ingenuo trucchetto, di mettermi al sicuro dall’incontrare pagine peccaminose.

Ma io avevo mangiato la foglia e, certi pomeriggi in cui lui era fuori di casa oppure di notte, mi abbeverai con generosità a quella copiosa fonte di sapere erotico. La teoria andava a braccetto con la pratica in cui già da un annetto mi cimentavo, ricorrendo o alle imbranate dilettanti mie coetanee oppure affidandomi alle ben più esperte arti di professioniste del ramo.

 

1393955708081chatterly_1Dopo Miller divorai in tre giorni la Lady Chatterly di Lawerence, non senza aver rilevato che il vezzeggiativo con cui veniva chiamata Costance Chatterly, e cioè Connie, era molto simile al vocabolo latino “cunnus”…L’ultima preda fu fantastica, la più bella del mio carniere.

 

Non c’era nulla di pornografico in quel romanzo, eppure la sua carica di raffinato erotismo , unito ad uno stile estetizzante e lirico, mi stregò subito. Il suo leggendario incipit era questo: “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul parlato per battere, al terzo, contro i denti.” Canto altissimo, di grande respiro: ecco signori, questo è un classico! Il volume, con una sobria sovra copertina bianca con riquadri verdi e con al centro della parte alta una testa di donna dagli strani capelli intrecciati, era uno dei romanzi editi da Mondadori nella prestigiosa collana “Medusa”.
E quel libro trovò mia madre una mattina sotto il cuscino e, da allora, l’entrata nello studio paterno mi fu impedita da un più accorta secretazione della chiave di accesso

 

diablik1La ricreazione era finita, poco male, tornai a leggiucchiare Marcuse meditando sul suo uomo ad una dimensione, non trascurando comunque la lettura di Diabolik e di Kriminal.

Diabolik, il “re del crimine” era tutto sommato un personaggio noioso. Non faceva che rubare tesori, uccidere e infine scappare nei suoi rifugi a bordo di una jaguar E nera entrando ogni volta da un ingresso segreto (N.d.r.: a quei tempi, due erano le Jaguar E nere in Italia, quella di Diabolik e quella di Alfio Cantarella, mitico batterista dell’Equipe 84).

Accanto a lui la sua donna, la biondazza Eva Kant che univa ad un nome biblico un cognome decisamente filosofico.

Ogni episodio terminava sempre con quel coglione dell’ispettore Ginko che alzava il pugno esclamando indispettito “Maledetto, questa volta mi sei sfuggito, ma la prossima…”.

 

Kriminal era invece “”il re del crimine”, portava una tutina a scheletro e si contornava di femmine meno algide e più sexy di Eva. Infatti indossavano biancheria intima succinta e persino reggicalze. La preferenza era quindi scontata…

Per onor di cronaca debbo aggiungere che entrambi i truci personaggi furono presi per i fondelli, rispettivamente da Jonny Dorelli ,“Dorellik” ,e da Fred Buscaglione, che in quegli anni lanciò “Kriminal tango”.

 

 

E SE PARLASSIMO UN PO’ DI STUDIO E DI SCUOLA?

studenti-anni-60Non vorrei che chi mi ha pazientemente seguito sin’ora, pensasse che a quei tempi si bighellonasse sempre, tra una partita a calciobalilla (ricordate lo stecchino ferma tirante e le incursioni poliziesche del gestore che veniva a controllare?), una interminabile telefonata dalla cabina telefonica ( chi non si è trovato non può capire il fascino di una conversazione amorosa olezzante di fumo e di sudore, mentre fuori si gonfia la fila di chi aspetta col gettone in mano) e una serata al cinema (allora simile ad una fumeria d’oppio, con gente che entrava e usciva a proiezione in corso e il secco schiocco di un ceffone femmineo ben assestato sulla faccia assai tosta di un‘impenitente manomorta)

No, no, allora si studiava pure, eccome!

Quando l’ho raccontato anni fa a mio nipote, Luca, non mi voleva credere..”

Ma come nonno – mi diceva indignato- vi caricavano di compiti, dovevate studiare per cinque-sei ore e non li denunciavate per maltrattamenti?”.

Sì, era proprio così. Chiusi in cameretta, senza tentazioni (il cellulare fortunatamente non era ancora stato inventato), ci ingobbivamo in uno studio matto e disperato, quasi come il favoloso gobbetto di Recanati. Spesso dovevamo svolgere versioni dall’italiano in latino (nemmeno a questo Luca voleva credere) e per giunta servendoci del famigerato dizionario Georges-Calonghi, quello che sadicamente riportava dei verbi solo il modo infinito!

Quasi tutti ci buttavamo tra le braccia rassicuranti del più umano Campanini e Carbone, vietatissimo negli ultimi due anni di liceo, ma il sadico professore se ne accorgeva e seminava serie di quattro secchi, senza appello. Per il greco si usava il Rocci , che aveva la maledetta peculiarità di fornire accanto ad ogni verbo, una serie infinita di significati uno diverso dall’altro sicché, molte volte, eravamo costretti a far roteare la biro sino a farla cadere, a caso, su di uno qualsiasi.

 

sapegnoRiporto qualche testo tra i più in uso all’epoca: Letteratura italiana: il tostissimo Sapegno o il più praticabile Sansone (era il preside della facoltà di lettere dell’Ateneo barese, colui che “inventò” la cattedra di letteratura ispanica per assegnarla al grande Vittorio Bodini). La Divina Commedia ho avuto il piacere di studiarla sul commento di Attilio Momigliano, insigne italianista. Pensate che il poveretto, rinchiuso in campo di concentramento perché ebreo, lavorò su una cantica complessa come il Paradiso con il solo ausilio di uno spezzone di matita…Il testo che andava forte in Storia era quello del marxiano Saitta, mentre per la filosofia, purtroppo e non so perché, molte scuole adottavano il poco analitico La Manna.

Alle magistrali, addirittura, si studiava su di un’edizione…facilitata del La Manna (aveva i riquadri grafici verdi, mentre la stampa per i licei classici aveva linee marroni).

La Letteratura latina era a cura di un certo Perrotta, mentre quella greca portava la firma del prof. Cantarella ( magari era il padre del citato batterista dell’Equipe 84!)

 

barluzzi81A quei tempi la Scuola funzionava bene, almeno fino alle prime contestazioni sessantottine. Non c’era la fiumana di progetti che ora confluisce nel grande, placido Pof  (quasi un rimando mnemonico al “Placido Don”, romanzo storico del russo Michail Sholokhov che vinse il Nobel nel 1965). Se sapevi suonare la chitarra o il piffero, se sapevi recitare, buon per te, non c’era certo nessun credito formativo…

Non esistevano né i progetti cinema-legalità-migrazione ecc. né le assemblee studentesche a data fissa. Le ragazze erano costrette a portare un orribile, informe grembiulone nero e anche qualche professoressa lo indossava.

La mia prof di filosofia (la Berardi) indossava un grembiule nero da cui spuntava un coletto rosso e aveva il vezzo, quando spiegava, in piedi dietro la classe, di dondolare a destra e a manca. Noi presto la soprannominammo “Barluzzi”, che era il cognome del portiere titolare del Milan.

 

(continua)

 

Gabriele D’Amelj Melodia
Come eravamo, noi generazione degli anni ’60. I Parte. Di Gabriele D’Amelj Melodia

Come eravamo, noi generazione degli anni ’60. II Parte. Di Gabriele D’Amelj Melodia

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