I PECCATORI DI SUPERBIA NELLA DIVINA COMMEDIA
(il clamoroso ritrovamento di un codice che scopre nuovi versi del Purgatorio dedicati a…)
Padre Dante, strano ma vero, nella sua Commedia è piuttosto indulgente con coloro che si macchiarono del peccato di superbia e di ambizione sfrenata. Anziché farli abbrustolire in qualche barbeque degli Inferi, si limita a posteggiarli in Purgatorio, dando loro una chance di salvezza.
A ben pensarci, non è poi cosa tanto stupefacente, se si considera che egli stesso fu uno di quei fiorentini altezzosi ed ambiziosi…
Come accennato, questa arrogante categoria di supponenti è collocata dall’Alighieri nella prima cornice, spalmata in ben tre canti, il X, l’XI e il XII. Il contrappasso che disegna per loro è molto pertinente: così come andarono sempre sfrontatamente a testa alta durante l’esistenza terrena, così dovranno andare a capo chino, umilmente, ora che sono anime in via di redenzione.
Per sovrammercato, ognuno dovrà avere sul groppone un enorme sasso “che la cervice mia superba doma”, come recita uno di quei peccatori.
Tra questi sventurati troviamo Re David, l’Imperatore Traiano, Lucifero, Nambrotte, Niobe, ma anche molti figli di Toscana: Umberto Aldobrandini, Provenzan Salvani ed altri.
Ora però è successo un fatto straordinario.
Grazie alla laboriosa ricerca di uno storico locale, un vero topo di biblioteca che lascio personificare al vostro acuto intuito, è stata rinvenuta la copia benedettina di un vecchio codice che riporta altri versi del Canto XI mai tramandati e quindi ancora sconosciuti agli studiosi.
E’ con vera emozione che mi accingo a renderli noti per la prima volta al sapiente pubblico brindisino.
Sono in tutto 19 versi che ci parlano di un personaggio dell’epoca famoso per la sua “ambizione sfrenata”.
Un sincero ringraziamento per l’imprimatur alla divulgazione in anteprima va al valoroso professore-roditore che mi astengo dal nominare per rispetto alla sua riservatezza.
Buona lettura.
(il poeta, abbassandosi, guarda in volto un reietto che cammina faticosamente con un masso sulle spalle)
…”Oh!”, diss’ io lui, non se’ tu lo Renzi
l’onor di Fiorenza, l’onor di quell”arte
che consiste nel mai far ciò che penzi
ma sempre agendo mescendo le tre carte?
(a queste parole il misero, rallentando, risponde ma sempre a capo chino)
“Il bel Matteo io fui, signore di Fiorenza,
or son qui tra la tapina, disgraziata gente
a scontar peccata di vanesia ambivalenza.
Famoso fui per la favella e per li lazzi,
ma a far lo duce m’ abbrusciai le ali,
e tosto nomea presi di superbo hahahazzi,
ora gravoso masso porto pe’ miei mali!
Vissi solo per la gloria e il gran desìo
di comandar l’Itaglia e la su’ gente,
di tal superbia qui ne pago il fio.
Oh vana gloria di cui ora si pente
il peccator ch’io son, ancor non pio…”
Udite di quel reo le parole lacrimose,
vuolsi sguardo d’intesa al Duca mio
e ce ne andemmo al barre a farci du’ gassose.
Bastiancontrario
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