Therrien è un’artista che ha fatto del trinomio uomo-macchina-religione il tratto distintivo dei suoi spettacoli, aspetto saliente della sua filosofia è credere che, “in realtà non c’è nessuna differenza fra credere in più dei e il credere in più scienze o tecnologie.”1
Therrien percepisce la tecnologia come forma di controllo, vedendo nel suo progredire l’inspessirsi delle sbarre di una gabbia, che arriverà ad imprigionare l’uomo, sottomettendolo definitivamente alla macchina. La compagnia artistica da lui creata è stata battezzata comfort/control, un nome che riassume il pensiero di Therrien: la comodità garantita dalla tecnica è una trappola che induce l’uomo a demandare ad essa numerose attività, il cui numero, col progresso scientifico, aumenterà sempre più, sino a rendere l’umanità schiava.
Un esempio di come questo concetto venga espresso nelle performaces è stato lo spettacolo Ritual Machines (macchine rituali) del 1990: “ di fronte alla bocca spalancata di una caverna […] Disegnata sul fondale, torreggiava l’indice, una croce meccanica alta tredici metri e pesante tre tonnellate che teneva prigionieri due uomini nella struttura simile ad una gabbia […] Alla base [la croce] Incorporabva un display alfanumerico con una griglia al neon da mezzo metro quadrato che era attraversata da parole pensate per spingere dei “bottoni” emotivi [ovvero] “SANTIFICARE”, “DEIFICARE”, “ELETTRIFICARE”, “CONTROLLARE”, “CONFORMARE”, “CONVERTIRE” [virgolette e stampatello originali].”2
La tecnologia è la nuova divinità postmoderna in cui l’uomo ripone tutte le sue speranze di una vita migliore, il prezzo da pagare per vedere soddisfatti i propri desideri è ‘abdicazione del sé, consentendo alla macchina di prendere il sopravvento. Questo patto inconscio fra uomo e macchina, partorisce un nuovo essere: un cyborg privato della sua autonomia, che si trastulla nel comfort/controllo fornito dalla tecnologia.
La croce di Ritual Machines è la metafora della religiosità di cui la macchina viene investita, un atto di sottomissione dell’uomo di fronte all’immenso potenziale della tecnica, che regala al soggetto nuove comodità a prezzo della libertà ( la gabbia dentro la croce).
L’elettricità è la nuova incarnazione di dio, dice Therrien, è anch’essa una forza invisibile che anima il mondo in cui viviamo, proprio come il “soffio vitale”.
L’artista può essere considerato un tecnopagano atipico, poiché la ritualità di cui ammanta la tecnologia, non è un tentativo ermeneutico, come per i tecnopagani, ma un atto di denuncia contro la società che rischia di venire distrutta, dalla sua stessa voglia di vedere nella tecnica uno strumento di salvezza.
Le idee di Therrien sono molto simili a quelle di David Noble, secondo il quale: “l’attesa di una salvezza finale attraverso la tecnologia, quali che siano i costi umani e sociali, è diventata l’ortodossia non rivelata […] Questa fede popolare […] Ispira un timorato rispetto verso i suoi esponenti e le sue promesse di liberazione […] Ironicamente, l’impresa tecnologica da cui siamo sempre più dipendenti per la conservazione e l’estensione della nostra vita, rivela uno sguardo sdegnoso e di intolleranza verso la vita.”3
La tecnologia sembra essere un’immensa prigione d’acciaio e cavi elettrici, a forma di croce, dentro cui l’uomo rischia di rimanere intrappolato. Il cyborg di Therrien, dunque, a differenza di quello proposto da Sterlac, è il sintomo di una società alienata dalla sua voglia di comfort, la simbiosi con la tecnica non è una possibilità evolutiva, ma una trappola per l’intera specie umana.
1 Mark Dery, Velocità di fuga, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1994, op. cit. p.189
2 Ibidem, p.192
3 David F. Noble, La religione della tecnologia, tr. it. Edizioni di Comunità, Torino, 200, p.276-277
James Lamarina
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