“Sulle liste d’attesa i fatti sono più testardi delle parole. Perché non dire, semplicemente, che c’è uno scontro tra chi vuole sospendere le visite a pagamento (nel caso siano più veloci di quelle istituzionali) e chi, invece, tiene più a preservare il sistema a pagamento (anche quando presenta eclatanti disfunzioni)? Auspico invece che si faccia presto, anche con l’aiuto dell’apposita sottocommissione opportunamente istituita, ieri, su proposta dal vicepresidente della commissione Sanità, Paolo Pellegrino”.
Lo dichiara il consigliere regionale Fabiano Amati (PD), presidente della commissione Bilancio, che (insieme ai colleghi Napoleone Cera, Enzo Colonna e Ruggiero Mennea) ha presentato una proposta di legge su ‘misure per la riduzione delle liste d’attesa in sanità’.
“La caratteristica principale dei fatti – sostiene Amati – consiste nel poter avere riscontro e fare piazza pulita delle voci”. Per la questione ‘liste d’attesa’ i fatti da prendere in considerazione sono quattro.
“Il primo fatto – spiega – è che il disallineamento dei tempi tra attività istituzionale e a pagamento è riscontrato, per le classi di priorità brevi e differite, a parità di numero di prestazioni, personale impiegato e ore lavorate. Ne deriva che non c’è nesso tra carenza di personale e tempi lunghi”.
“Il secondo fatto – prosegue – è che la legge statale e il contratto prevedono l’allineamento dei tempi d’attesa tra l’attività istituzionale e quella a pagamento, ma non dice cosa succede se tale disallineamento non c’è. La nostra proposta di legge – precisa – serve a dire proprio cosa succede ed è, comunque, appagante vedere come, nella vasta gamma delle critiche, siamo passati dall’iniziale giudizio di incostituzionalità a quello d’inutilità. Lo studio, come il sonno, porta sempre consiglio”.
Il consigliere regionale – “e siamo al terzo fatto” – ricorda, poi, che “le aziende sanitarie pubbliche sono derivazione della Regione Puglia, per cui in uno schema meramente aziendale – così come si farebbe in un’azienda privata – il pensiero non può indugiare sull’attività straordinaria (libera professione) quando è quella ordinaria che registra evidenti pecche”.
Il quarto (e ultimo) fatto è che “l’attività a pagamento comporta spese aggiuntive a carico delle aziende (il dato è però in corso di verifica), perché – conclude Fabiano Amati – la percentuale trattenuta non è in grado di colmare il ticket, le spese generali, di segretariato e infermieristiche”.
/comunicato
No Comments