May 3, 2025

Aveva solo 27 anni Lamine Barro. La sua vita è finita la notte del 1° maggio, sulla strada provinciale che collega Mesagne a San Vito dei Normanni. Tornava a casa dopo uno dei suoi due lavori, quando è stato travolto da un’auto. Il conducente non si è fermato. L’ha lasciato sull’asfalto, ferito, agonizzante, e poi è fuggito.

Per due ore nessuno si è fermato. Nessuno ha chiamato i soccorsi. Nessuno ha mostrato il minimo segno di umanità.

Lamine era arrivato in Italia dal Senegal con un sogno semplice: lavorare, aiutare la sua famiglia, costruirsi una vita dignitosa. Abitava a Mesagne, in via Rosamarina, e ogni giorno pedalava fino al punto di raccolta dei braccianti agricoli. Viveva con fatica e sacrificio, affrontando due lavori perché un solo stipendio non bastava. Quella strada, percorsa ogni giorno, è diventata la sua trappola.

Il caso ha voluto che Lamine morisse proprio il 1° maggio, Festa dei Lavoratori. Una tragedia che porta con sé il peso di una beffa atroce.

 

La denuncia sociale e sindacale
Una vita spezzata nel buio della notte, sulla strada del ritorno da lavoro, nella maniera peggiore: travolto, abbandonato sull’asfalto e negandogli anche il soccorso. Quanta disumanità in questa vicenda, quanta tristezza e impotenza», commenta il segretario generale della Cgil di Brindisi Massimo Di Cesare.
«Le notizie che abbiamo raccolto – prosegue di Cesare – ci consegnano un ragazzo che stava percorrendo una esistenza basata sull’impegno, il lavoro, l’integrazione. Iscritto alla CGIL. Per queste ragioni e per dare un senso alle parole che abbiamo pronunciato il 1 maggio, metteremo a disposizione della famiglia il nostro ufficio legale e il nostro patronato, lo dobbiamo a lui e al suo sogno di emancipazione, lo dobbiamo a sua moglie e suo figlio, lo dobbiamo ai tanti lavoratori che lottano contro la precarietà, contro il lavoro nero, e impegnati per la solidarietà, l’eguaglianza e la giustizia sociale».
«È una macabra beffa essere ucciso – sottolinea Claudia Nigro segretaria generale Filcams Cgil Brindisi – il primo di maggio, festa dei lavoratori. Dopo aver terminato il proprio turno di lavoro, magari il secondo perché con il primo non si riesce a sbarcare il lunario. Un lavoratore muore nell’indifferenza di molti. Un lavoratore muore senza che nessuno gli presti soccorso. Non ci stancheremo mai di richiamare all’umanità e di ragionare, promuovere e rendere fattiva anche l’umanità del lavoro. Un lavoro che parla di liberazione da ogni forma di sfruttamento e discriminazione, di promozione dell’antirazzismo, riportando la Costituzione all’interno dei luoghi di lavoro, affinché vi sia un pieno e reale rispetto dei diritti di lavoratrici e lavoratori cittadine e cittadini di questo Paese».

Anche Rifondazione Comunista Brindisi è intervenuta con una dura nota: «Lamine non cercava la morte, cercava un lavoro. È stato lasciato a terra come un rifiuto. Per alcuni, la vita dei poveri non vale nulla».
Scrive Angelo Leo: «La vita di un giovane immigrato senegalese, per alcuni non ha nessun valore. Lamine, è rimasto a terra per 2 ore senza ricevere soccorso. Non l’aveva soccorso il suo investitore e forse neanche altri che saranno passati per caso in quelle due ore davanti alla sua bicicletta ed al suo corpo martoriato. Lamine, giusto il primo maggio lascia per sempre la moglie e i suoi due figli.
Lamine, non cercava la morte, Lamine cercava lavoro, non un lavoro ma due, perché i salari sono bassi e non bastano per mantenere una famiglia. Invece ha perso la vita inconsapevole al suo rientro a casa».

 

Svolta nelle indagini
Nella mattinata del 2 maggio, il presunto investitore si è presentato spontaneamente presso il Commissariato di Mesagne. È stato interrogato e denunciato a piede libero per omicidio stradale e omissione di soccorso. Le indagini della Polizia di Stato proseguono per chiarire l’esatta dinamica dell’investimento.

 

Una morte che interroga tutti
Lamine Barro è morto due volte: per l’impatto e per l’indifferenza. Nessuno si è fermato. Nessuno ha provato a salvarlo. È questo il peso più grande. Non si tratta solo di giustizia penale, ma di coscienza collettiva. La morte di Lamine ci costringe a guardare in faccia la disumanità, lo sfruttamento, il razzismo silenzioso, l’ipocrisia delle celebrazioni vuote.

Non basta indignarsi. Serve cambiare. E serve farlo adesso.

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