September 17, 2024

“Quando sei giù, pieno di problemi e hai bisogno di un aiuto e niente, niente va nel modo giusto, chiudi gli occhi e pensami e subito io sarò là per illuminare anche le tue notti più buie”. (James Taylor)

La vecchia cantina di Tricase Porto, adibita a sala prove, aveva continuato ad esistere grazie ad un manipolo di ragazzi che in quel locale avevano continuato a scambiarsi musica, amicizia e gesti d’amore. Dario fu invitato a rivedere i vecchi amici con i quali aveva condiviso l’idea di andar via dal Salento.

I vecchi compagni li aveva avuti sempre vicino attraverso i saluti sulle cartoline illustrate e le notizie miste a risate dalle cabine telefoniche.

Dopo la metà degli anni novanta, con il lancio dei cellulari, nonostante alcune tariffe proibitive e la copertura della rete non ancora perfetta, alcuni potevano contare sui nuovi dispositivi mobili. Dario aveva conservato le vecchie e care amicizie che in quel periodo di profonda depressione gli erano state sempre vicino: con Angelo condivideva gli stessi gusti musicali.

Era il più aggiornato di tutti e aveva iniziato a registrargli delle cassette di stereo sette con tutte le novità discografiche blues e rock.

Antonio, con l’immancabile chiodo nero anche l’estate, era l’amico sincero e rassicurante. Dotato di un carattere mite e assai socievole, era quello che spendeva più soldi per comperare dischi in vinile e riviste musicali.

Con Dario condivideva la lettura per il Mucchio Selvaggio e l’ascolto di tutti i gruppi emergenti della zona. L’unica auto disponibile per spostarsi nei paesi del Salento era quella di Camillo, un tipo con le borchie dappertutto e il metal nelle vene.

Possedeva una Fiat 850 berlina di colore avana, il cui motore, una volta avviato, sembrava emanare i suoni di una chitarra distorta. Mitico risultava il suono da stadio del clacson ogni volta che entrava nella piazza di Marittima, con gli anziani con la coppola in testa a mugugnare:
“ma viti quistu…”
“non ti curar di loro, ma guarda e passa…”, rispondeva Camillo, rivolgendosi alla sua auto.

Dario aveva conservato comprensione e gentilezza, amicizia e solidarietà e un sorriso rivolto ai suoi simili. La musica può addolcire le sofferenze e colmare le voragini della solitudine. Nei momenti di tranquillità si rifugiava in un angolo del suo podere per lasciarsi avvicinare dall’ispirazione e perdersi nei propri pensieri. La sua chitarra acustica continuava a scovare affascinanti blues.

Dario aveva bisogno di continuare quel sogno interrotto con il vecchio gruppo.

Durante un incontro musicale in Valle D’Itria, aveva conosciuto Corradino e Gregorio, due musicisti pugliesi molto bravi e preparati. Dopo aver suonato insieme alcuni classici, gli fu consigliato di continuare a percorrere quella strada. La passione andava premiata. L’idea era quella di creare del buon blues rurale.

Dario aveva bisogno di un nuovo supporto, seppur minimo. Girava voce che nella Terra dei due mari ci fosse un suonatore di washboard, forse l’unico nella zona. Si chiamava Giuseppe, noto come Washboard Joe. Portava gli occhiali spessi, vedeva poco, tanto da essere accompagnato dall’amico di turno e dalla sorella Maria. Aveva iniziato a perdere la vista troppo presto alle scuole elementari, ma l’impegno per lo studio era rimasto. Giuseppe aveva conseguito il diploma di maturità al Liceo Classico. Il suo sogno era quello di fare l’avvocato, amava dire “Quello delle cause perse”. Gli era stata riconosciuta una piccola pensione d’invalidità con la quale pagava la benzina dell’auto ai suoi accompagnatori. Una parte la conservava “perché non si può mai sapere”. Gli faceva compagnia un cane, un meticcio bianco con le orecchie marroni di nome Luna, proveniente dal canile municipale. Joe suonava il cosiddetto “lavaturo”, un asse di legno che serviva per lavare il bucato, trasformato in uno strumento musicale. Già da bambino aveva avuto l’idea di utilizzare e suonare l’asse di legno con un ditale preso in prestito dalla madre sarta. Per molti era una cosa stranissima, ma Joe in quel curioso strumento artigianale aveva trovato il gusto di suonare e raccontare storie con grande serenità. I genitori di Joe erano commercianti. Gestivano con poca tirannia un negozio di genere alimentare nel centro di Marittima. Usavano fare credito ai clienti scrivendo l’importo dovuto della spesa su un quaderno usato dagli scolari di terza elementare con la copertina a fiori. Dario rappresentò subito il nuovo amico del cuore, quello che senza nulla a pretendere poteva accompagnarlo ovunque. I due continuavano a ripetere:
“Chi non ama il blues ha un buco nel cuore”.
Questa frase scritta sul muro di un vecchio negozio del Mississippi divenne il loro nuovo slogan. Ai due amici si unirono quelli della sala prove. Dario e Joe ritornavano a vivere, creare musica e condividere nuove esperienze e sogni interrotti.
“Osando insieme, sacrificando insieme, progettando insieme, perché da soli non si cammina più”. (Camillo Pace)

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