July 27, 2024

Brundisium.net

BruxellesSono stato di recente a Bruxelles e se proprio dovessi associare un odore a quella città mi torna in mente quello delle “ganfre”, tipico dolce a cialda. Croccante fuori e morbido dentro, cotto su doppie piastre roventi che gli conferiscono il caratteristico aspetto di una superficie a nido d’ape.

L’odore penetrante di vanillina l’ho avvertito per la prima volta vagabondando come il flâneur di Baudelaire per le vie e le piazze che fanno da corona a Sua Maestà la Grand’ Place. Proveniva da uno di quei furgoni ambulanti adibiti a focaccerie, paninerie, gelaterie, creperie e alle tante altre “erie” di una  gastronomia alquanto lontana dai miei gusti.

Quel furgone dal nome italianissimo di Pasqualino era gestito da un calabrese doc. Proseguendo il tour non c’è voluto molto a scoprire che di “Pasqualino” la città ne è piena. Così come di calabresi, pugliesi e di quanti l’Italia costringe ad andare via.

 

Insomma se dovessi arrivare, bendato, in quella città saprei subito di trovarmi nella capitale europea. Questo perché ogni città, ogni luogo ha un odore che lo differenzia da tutti gli altri.

 

albaponente1024   E Brindisi non fa certo eccezione alla regola. Naturalmente l’odore che la caratterizza non s’identifica con il fetore di cui scriveva nel 1793 il naturalista svizzero Karl von Salis-Marschlins nel suo “Viaggio nel Regno di Napoli”: «… l’abbandono totale in cui ora è lasciato il porto, ha dato vita a paludi estesissime che circondano il paese, e riempiono l’aria di esalazioni pestilenziali, per cui non esiste più un volto roseo in Brindisi…».

E non è nemmeno vero che l’aria che qui si respira ha l’inconfondibile odore del salmastro trasportato dallo scirocco. Questo può valere per il forestiero, ma per chi vi ha vissuto gran parte della propria vita gli odori sono diversificati e la varietà innesta a sua volta ricordi diversi.

 

inchiostro pelikan Perciò, anche se non esistono più da un pezzo, rimangono magicamente nell’aria gli odori delle bottegucce di alimentari, delle cartolibrerie con le boccette d’inchiostro Pelikan, le matite Giotto e i quaderni dalla copertina nera e i bordi rossi.

Ma anche quello delle mercerie e dei negozi di tessuti dai lunghi banconi sui quali si stendevano i rotoli di stoffe che portavano con sé i profumi di concerie e fabbriche di città lontane.

Così come è vivo il ricordo delle casse di negramaro trasportate sui pianali dei travìni e, più tardi, quello del mosto raccolto nelle vasche degli stabilimenti vinicoli che la miopia degli amministratori locali ha vergognosamente fatto sparire dalla pianta e dalla storia della città.

Senza parlare poi degli angoli più discreti che ancora trattengono il profumo dei corti respiri e dei lunghi baci rubati ai misteri della notte.

 

Perché l’odore delle città è pure quello delle persone che ci vivono. Anche se oggigiorno l’odore della pelle va cancellato con ostinazione grazie ai mille preparati messi a disposizione dalla cosmesi eco-biologica. In contrasto con quanto scrive Haruki Murakami (in “1Q84”): «E poi dalla sua pelle emanava un odore stupendo. L’odore speciale della vita che può sprigionare solo la carne umana non ancora giunta a maturazione. Un odore simile a quello dei fiori in piena estate bagnati dalla rugiada dell’alba…».

 

Una persona è dunque il suo odore. La memoria olfattiva resta a ricordarci quel che siamo e quel che siamo stati, quello che abbiamo amato e quello che ci ha provocato dolore.

Gli odori perciò altro non sono che scrigni di ricordi. Scrigni, però, che si devono sapere aprire e, soprattutto, si devono volere aprire.

 

Profumo-di-fiori-e-di-felicita_su_vertical_dyn Ma gli odori sono anche il terreno su cui si sono cimentati poeti e scrittori.

A Marcel Proust il profumo dei fiori bianchi ha ispirato alcune delle pagine più seducenti. Per lui l’odore era molto di più e così lo spiega: «Quando di un antico passato non sussiste niente, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più intensi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore restano ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto».

Così per Shakespeare la rosa è uno dei topos più frequenti. Il nome, per lui, era meno rilevante di quella sensazione fortissima che ci assale quando il ricordo odoroso si prende la rivincita.

L’odore travolgeva anche Rainer Maria Rilke con la potenza di tralci, viti, mandarini, rose, terra bagnata. In un brevissimo scritto di Freud (Caducità), il fondatore della moderna psicanalisi riflette sul lutto e su come il timore di perdere le cose ci angusti al punto da non riuscire a godercele nel momento in cui le possediamo.

 

L’odore-ricordo, allora, è anche l’artifizio per recuperare le cose perdute. In questo modo si spiega che il profumo delle rose di Shakespeare, l’odore d’acacia di Hugo von Hofmannsthal o l’aroma dei viali spazzati dal vento di Nietzsche non siano che mezzi per combattere la perdita o il timore della perdita.

Quello che conta è che il profumo delle cose e delle persone ci rassicuri che tutto resta come l’abbiamo vissuto. A dispetto del tempo che passa e della caducità freudiana.

 

Guido Giampietro

 

2 Comments

  • Rispondi
    gigi
    22 Febbraio 2015

    in realtà brindisi e bruxelles hanno più di qualche profumo in comune, basta passeggiare per i vicoletti del centro storico ad ora di cena per essere attratti dall’inconfondibile profumo di …cozze. La classica pepata è infatti il piatto tipico di entrambe.

    • Rispondi
      Guido
      23 Febbraio 2015

      Sì, è vero. Ma le cozze sono un odore troppo familiare per un brindisino. Per questo ha prevalso quello della vanillina. A prescindere dagli odori è l’incanto di Bruxelles a restare nel cuore. Guido