Svettante in mezzo al mare aperto, collegato alla terraferma solo da una striscia di terra, il Castello Alfonsino è da secoli il baluardo della città di Brindisi e del suo porto, ma purtroppo va deteriorandosi di giorno in giorno.
Nel corso degli ultimi anni, infatti, il Castello è stato un luogo fantasma: costantemente chiuso al pubblico, tranne in alcuni brevi periodi, nei quali, per iniziativa della Sovrintendenza, veniva aperto il lunedì mattina, a causa della carenza/assenza di vigilanza, è stato inoltre oggetto di pesanti atti vandalici (come testimoniato peraltro anche da un servizio di forte impatto andato in onda di recente all’interno della trasmissione televisiva “Alle falde del Kilimangiaro”).
Il maniero vanta una posizione strategica unica nel suo genere, che lo vede completamente circondato dal mare fin nella darsena interna, ed è arricchito dalla cosiddetta “opera a corno” che racchiude in sé una quantità incredibile di ex alloggi militari che si prestano a svariati possibili utilizzi: quello che dovrebbe essere l’emblema di una città di mare quale Brindisi, il vanto di una comunità e che potrebbe ambire ad essere un enorme attrattore culturale, sta invece perdendo pezzi giorno per giorno.
Non è più pensabile che un bene di questo genere possa continuare a rimanere vittima dell’incuria e del vandalismo, oltre che dell’inesorabile passare del tempo: urge pertanto una pianificazione di interventi di salvaguardia della struttura, di restauro della stessa e di una successiva valorizzazione.
Il problema non è certamente di poco conto, considerata l’enormità dell’opera: i restauri effettuati nei decenni passati (in alcuni casi addirittura invasivi) col trascorrere del tempo stanno perdendo efficacia, con conseguente spreco di denaro, come sovente accade quando non c’è una vera strategia di valorizzazione alla base degli interventi, per cui i beni ristrutturati non vengono messi in sicurezza e nelle condizioni di essere vissuti.
La querelle tra i vari enti che finora avevano dimostrato interesse ad acquisirlo si è sempre rivelata infruttuosa, non disponendo, peraltro, gli enti stessi delle risorse finanziarie necessarie per pensare ad un intervento serio sul bene medesimo.
Negli ultimi anni vi sono stati dei tentativi di valorizzazione attraverso iniziative culturali, che puntavano soprattutto ad attirare l’attenzione sulle condizioni del bene: eventi basati soprattutto sulla volontà e l’impegno di associazioni culturali che hanno cercato perfino di intercettare il traffico crocieristico di passaggio nel porto della città.
Successivamente sono state ventilate proposte di interesse da parte di un grosso gruppo alberghiero che ipotizzava la realizzazione di una struttura ricettiva nell’opera a corno, e tante altre ipotesi sono state fatte, non solo dagli enti locali e dalla politica, ma soprattutto dalle associazioni.
Ora però il tempo però stringe: c’è da prendere una decisione, anche in vista del percorso che l’intero territorio brindisino sta facendo (o meglio, dovrebbe fare) nel sostenere la candidatura di Lecce a Capitale Europea del 2019. Non si pensa possa esistere un momento più adatto di questo.
È pertanto auspicabile che il Ministro Bray prenda a cuore la situazione di questo gioiello architettonico di proprietà dello Stato e decida se è possibile trovare dei fondi con i quali, innanzitutto, provvedere alla sua messa in sicurezza, al restauro della struttura e alla successiva restituzione alla città e ai cittadini della possibilità di vivere lo stesso come contenitore culturale polivalente, nonché come attrattore turistico di un porto del Mediterraneo quale è stata la città di Brindisi nel suo glorioso passato.
Considerato l’interesse che il tema ricopre per tanta parte della cittadinanza, sarebbe inoltre auspicabile un coinvolgimento partecipativo alla discussione in merito al successivo utilizzo della struttura: è solo partendo “dal basso” che questi processi rendono viva la democrazia e l’interesse per la storia, la cultura e la vita di un territorio.
Ed è questo il vero capitale che un patrimonio culturale deve generare: il capitale relazionale che si crea con la conoscenza, il rispetto, la partecipazione e la successiva capacità di proporre lo stesso ai visitatori. Solo dall’attivazione del capitale relazionale si può pensare di rendere il patrimonio un attrattore anche economico.
Ma per fare questo bisogna avere l’autorevolezza necessaria: un paese che non custodisce il suo patrimonio non è nemmeno autorevole nell’insegnare ai suoi cittadini a rispettarlo, figuriamoci ad amarlo e promuoverlo!
Per tutte queste ragioni l’onorevole del Partito Democratico, Elisa Mariano, presenterà nei prossimi giorni un’interrogazione al Ministro Bray, che, con la sua delega ai beni e attività culturali e al turismo, è l’interlocutore più adeguato a rispondere alla domanda di un territorio, già svenduto e depotenziato in passato, che non può più vedere distruggere il proprio patrimonio e la propria identità.
Ilaria Oliva – Responsabile Cultura e Istruzione
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