La passione per le poesie in vernacolo che rispecchiano situazioni vissute con un preciso e prezioso colorito al verso mi è sorta dalla lettura dei versi del mio pro-zio Papa Luigi De Marco (1877-1949), fratello di mia nonna Cosima De Marco Indini.
Don Luigi De Marco venne considerato il legittimo continuatore di un altro grande poeta dialettale brindisino, don Agostino Chimienti. Seppe dare il preciso ed esatto significato desiderato dall’autore e il colorito spiccato, con il tono squisito e il tocco magico che colpiva il lettore sensibile ed esigente in un dialetto con vocaboli prettamente in vernacolo ma leggibili.
Qua mi sta lassunu, sola sulata,
Ti tutti ddiavvulu so bbandunata.
Zio Luigi, non ebbe mai ambizioni letterarie, né si diede atteggiamenti velleitari di poeta, motivo della mia ammirazione e nel ritenerlo esempio imitabile.
Nella collaborazione con il giornale satirico locale “PAPAMOSCAS”, Papa Luigi ebbe parte predominante come “ lu Sciabbicotu” con l’indicabile:
TULURI TI PANZA …………….
Imu saputu
Ca na pignata
Ti vampasciuni
S’è sculacciata.
Ma ntra S. Pietru
ti li scauni
Zicca a fa effettu
li vampasciuni.
Presto figliole
datemi un vaso
sto crepando
per S. Tommaso
Fuci Carmela
fani cu passa
Ci nò lu papa
Mò ndi la lassa.
Doppu menz’ora
ca intra è statu
Papa Luviggi
S’è difriscatu.
Grazie figliole
Del gran piacere
Ccè di chè papa
E’ nu duveri.
Molti miei versi rimati in vernacolo, risonano come “culacchi” (barzellette) poiché spesso traggono spunto da un fatto realmente accaduto, altre volte descrivono un personaggio un po’ maldestro, altre ancora denunziano delle situazioni poco felici, ma i “culacchi” sono sicuramente le più significative espressioni culturali delle nostre tradizioni.
Aldo Indini – Cultore di storia locale
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