Caro Direttore,
nel corso dei miei quasi cento interventi sul tuo giornale ti ho disturbato per le motivazioni più diverse trattando temi fra i più strampalati e distanti fra loro così come mi appaiono i vari aspetti di questa strana e miracolosa cosa che è la vita.
Sono certo, quindi, che non ti stupirai se dovrai sopportarmi, questa volta, giuro, per una sola volta, anche nella veste di critico teatrale.
Ci provo.
Premetto che non so come si struttura una critica e che non sono un esperto di teatro; mi piacciono Ibsen e Garcia Lorca, adoro Pirandello, ho avuto il privilegio di assistere a performance di Carmelo Bene e di Eduardo De Filippo, ho visto recitare attori come Gazzolo, Foà, Cucciolla, Castellitto, Melato, Sastri, Quattrini, Proclemer, Albertazzi e tanti tanti altri.
Insomma mi piace il teatro ma non saprei disquisire sui suoi aspetti tecnici o storici né saprei avventurarmi in argomentazioni su spazi scenici e spazi immaginativi, sul significato del gesto o sulla eredità aristotelica.
Sono solo un fruitore; a volte tignoso ed altre meno, accondiscendente quando serve ma sempre rispettoso dell’impegno e del lavoro altrui.
Non divaghiamo; quest’anno, caro Direttore, ho rinnovato gli abbonamenti alla stagione del nostro “Verdi” con il solito miscuglio di sensazioni che ti illustro in ordine sparso e che come sempre hanno incluso:
a) la speranza di poter assistere a qualcosa di veramente strepitoso per cui valga la pena di dire che c’ero anch’io;
b) la curiosità di poter vedere dal vivo noti personaggi dello spettacolo;
c) il rimorso per una spesa abbastanza consistente che avrei potuto impiegare in altri mille modi;
d) una sorta di dovere civico che mi spinge a non disertare tutte le forme artistiche che approdano in questa sonnolenta città;
e) il bisogno di avere la possibilità di spezzare il tran tran quotidiano invernale;
f) l’amore per il teatro come forma artistica e come insegnamento di vita;
g) il desiderio di provare emozioni forti;
h) un certo snobismo presenzialista che mi spinge a ricercare i posti rigorosamente nelle prime dieci file che se no è meglio che mi sto a casa;
i) la presa d’atto che un guardaroba di un certo rilievo giacerebbe ancora sterilmente nell’armadio senza alcuna speranza di essere indossato e, soprattutto, ostentato se non in quelle dieci serate all’anno di appuntamenti teatrali e la voglia di porvi rimedio.
Con tale miscellanea di motivazioni (tranne il punto “i” causa pioggia) ieri sera, 7 marzo, mi sono recato con A., il mio caro amico di una vita, ad assistere allo spettacolo “Due” , atto unico di Luca Miniero con Roul Bova e Chiara Francini
… … … caro Direttore, un disastro!
Pensieri come “Ci cazzu mi l’è fatta fari”, “M’essi statu a casa” e “Izza, ce palli” hanno popolato per tutta la serata la mia mente.
Mi dirai che me la sono cercata, ed è vero: andare a teatro a vedere Roul Bova aspettandosi una emozione è come andare ad assistere al consiglio comunale pretendendo di ascoltare un ragionamento sensato ; vero ! E come darti torto?.
Hai ragione e ti aggiungo che i segnali che ieri sera non fosse una serata da teatro c’erano tutti.
(continua, forse stasera o, al massimo domani mattina).
A.Serni
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