Un’Italia disunita, delusa e soprattutto incattivita è quanto alla fine resta dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, che hanno palesato quell’insofferenza di un Paese che tra rottamatori, politica dei talk show e dei forum online di certo già non se la passava tanto bene.
Sembrerebbe che quanto ribolliva nel calderone del quattro marzo, in questi mesi abbia continuato a riscaldarsi sino a esplodere domenica con una bomba non solo istituzionale, non solo economica con lo spread che si aggira intorno ai 300 punti trascinando verso il basso Piazza Affari e con sé l’intera finanza europea, ma piuttosto una bomba sociale.
La neonata Terza Repubblica svetta sulle ceneri dei precedenti modus operandi, inglobandoli e aggiungendo un tocco teatrale. La confusione, tuttavia non resta solo tra le mura dei Palazzi romani e l’informazione tradizionale, ma sconvolge il web con un impatto e una forza dirompenti: la dicotomia tra il Paese che vince e quello che perde non lascia spazio a valutazioni, e alla fine siamo tutti un po’ perdenti..
Tra i cavalli di battaglia di questa querelle italiana il rimbalzare degli articoli 90 e 92 della Costituzione, e così emerge sui social un raro fenomeno: tutti gli addicted sembrano rivolgere un occhio di interesse e preoccupazione per la Costituzione italiana: ci sarà o non ci sarà il presupposto per un impeachment? Poteva o non poteva il Presidente.
Per chiarezza, la nascita dell’impeachment risale all’Inghilterra del Medioevo, quando a seguito della crisi costituzionale del 1376, il Parlamento rivendicò a sé il diritto di giudicare i Ministri del Re colpevoli di gravi reati, sottraendo questo potere al Consiglio privato della Corona. Nella storia recente tra i due casi noti ai più vengono da Oltreoceano: lo scandalo del Watergate durante la presidenza Nixon e le dimissioni di Bill Clinton. Lo stesso Trump ha più volte sentito riecheggiare questa possibilità nell’ancora in corso procedimento del Russiagate.
In Italia la procedura, discostandosi dal modello di common law prevede all’articolo 90 che «Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione». Sono quindi solo questi due i reati imputabili al capo dello Stato che ne prevedono le dimissioni forzate. Una procedura lunga e farraginosa che in Italia ricorda il precedente di Sergio Leone coinvolto nello scandalo Lockheed, quello di Cossiga e di Oscar Luigi Scalfaro.
A ben vedere però, Il “Non ci sto” di Sergio Mattarella ha un sapore diverso in un’epoca digitale in cui la coesione sociale sembra essere ridotta a brandelli e i social media sono il canale prediletto per esporsi. La web-democracy è ormai l’arena a cui tutti desiderano partecipare.
Abbiamo così assistito in prima linea a uno show quotidiano a puntate, più che a fatto politico, dove gli schieramenti opposti si pronunciano per slogan e un esercito di followers si incontra e si scontra al suono di #iostoconmattarella, sino al commento che ha un sapore di vilipendio.
Così anche un fatto istituzionale si tramuta in un processo mediatico, l’ennesimo episodio della social-saga, più seguita d’Italia, e non è un caso che proprio Netflix abbia deciso di acquistare i diritti per lanciare la “serie il gioco dell’oca”, dedicata a quanto è successo e sta accadendo nel nostro Paese dopo le elezioni. Resta a questo punto un dilemma: come andrà a finire?
Vanessa Gloria
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