Il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità una mozione, presentata dai consiglieri Michele Ventricelli, Antonio Camporeale, Maurizio Friolo, Nino Marmo e Giacinto Forte, con la quale impegna “il Governo regionale ad avviare tempestivamente tutte le iniziative presso il Consiglio dei Ministri ed il Parlamento della Repubblica affinché si recuperino nuove risorse per un nuovo bando CIPE con il quale disporre una nuova istruttoria di “Selezione e perimetrazione delle Zone Franche Urbane e ripartizione delle risorse”.
L’iniziativa – si riporta in un comunicato della Regione Puglia – ha come obiettivo il recupero di quei Comuni (Altamura, Cerignola, Mesagne, Bitonto e Brindisi), esclusi dal precedente bando – pur avendo le condizioni per poter essere selezionati – per aver presentato tardivamente o per aver omesso la presentazione di qualche documento.
Nel 2008, anno di presentazione delle domande per accedere alle agevolazioni, le amministrazioni di centrodestra di Mesagne e Brindisi commisero errori marchiani nella presentazione dei progetti e furono escluse proprio per non aver rispettato le prescrizioni dell’avviso.
Sia Brindisi che Mesagne, infatti, sbagliarono nell’individuare le zone in cui insediare le imprese che avrebbero dovuto beneficiare delle agevolazioni.
Più in particolare Mesagne individuò quartieri distanti dagli altri mentre – secondo il bando – le zone individuate dovevano essere contigue, cioè una vicino all’altra.
A Brindisi, invece, la struttura dell’Assessorato alla “Programmazione Economica e Sviluppo” sbagliò completamente la scelta della zona finanziabile in relazione ai parametri socio-economici: Fu individuato un quartiere residenziale (quindi con parametri socio/economici medio alti) mentre il bando richiedeva che fosse scelta una zona in cui il tasso di disoccupazione fosse superiore alla media comunale.
Aver perso la possibilità di accedere alle Zone Franche Urbane ha costituito un grosso colpo alle già precarie economie cittadine di Brindisi e Mesagne.
Parliamo, infatti, di importanti vantaggi fiscali che avrebbero potuto riguardare tanti giovani artigiani, commercianti, anche alla prima esperienza di impresa o microimpresa.
Grazie ai contributi dell’U.E., le imprese nuove non avrebbero pagato tasse né contributi per 5 anni, e dal 6 anno al 10 anno avrebbero avuto diritto ad una esenzione del 60% e successivamente del 40% e del 20%, con l’evidente scopo di contrastare fenomeni di esclusione sociale e favorire lo sviluppo socio-economico di dette aree.
In particolare era prevista esenzione fiscale dall’Irpef e dall’Ires fino ad un reddito massimo fissato a 100mila €, maggiorato di 5mila € per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato; per l’Irap il valore di produzione netta esentabile è invece di 300mila €; l’esenzione dei contributi Inps valeva, infine, sia per i redditi da lavoro dipendente che autonomo, a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nella zona disagiata.
Anche dopo il primo quinquennio lo Stato continuava comunque a garantire l’esenzione Irpef-Ires del 60% il sesto e settimo anno, del 40% per quello successivo e del 20 per l’8° e il 9°.
Angela Gatti
Pubblicato il: 22 Lug, 2014 @ 17:47
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