January 17, 2025

offese_kyengeDopo i recenti insulti alla ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge viene spontaneo (ri)porsi la domanda: ma noi siamo razzisti? Dove quel “noi” non è un plurale maiestatis, ma un pronome plurale riferito alla gens italica in genere e, in subordine, anche a quella brindisina.

 

Gli insulti, le banane e i gestacci rivolti alla Kyenge non sono da sottovalutare e, oltretutto, ci pongono in una delicata situazione nei confronti dei turisti di colore che hanno intenzione di venire nel nostro Paese.

Con quale entusiasmo potrebbero mai prendere una tale decisione una volta resisi conto dell’astio con cui, in Italia, vengono considerati quelli con la pelle del loro colore?

Non è che si voglia sempre pensare all’utile, ma in tempi di vacche magre ˗ libera traduzione di spending review ˗ questo mancato introito di valuta non può che nuocere ad una economia asfittica come la nostra.

 

Esasperazione, rancore, rabbia verso gli stranieri, specie extracomunitari, non sono sentimenti e atteggiamenti sconosciuti. Tutt’altro.

Però ˗ e non vuole essere questa una giustificazione ˗ c’è da dire che sono generati soprattutto dall’assenza di controlli, dal lassismo di marchio prettamente nazionale, dall’incertezza della pena.
1799706-ladro_casa[1]Quando viene messo semplicemente ai domiciliari il magrebino che ha investito sulle strisce una mamma, un bambino o entrambi e poi è scappato; quando viene rilasciato a piede libero il rumeno che, per rubare qualche centinaio di euro in una casa un po’ fuori mano, non ha esitato ad ammazzare una coppia di vecchietti; quando i protettori slavi e albanesi continuano indisturbati a gestire il loro commercio di disgraziate senza che nessuno glielo impedisca; ed intere comunità rom, alla faccia di tutte le norme e regolamenti, dopo aver trasformato una zona di verde pubblico in una fetida discarica, vengono ignorati dalle autorità locali… ecco, questo è il momento buono perché il germe del razzismo prenda piede.
Il rischio di una deriva intollerante esiste, dunque, nutrita dal lassismo, dalla scarsità delle forze dell’ordine (impegnate, in compenso, a fare da body guard ai signori politici!) e da leggi poco condivisibili.

 

Per non parlare della vergognosa assenza di un’Europa che sta a guardare dall’alto dei suoi palazzi vetrati e dei suoi consessi lontani mille miglia dai veri problemi della gente.

 

Indubbiamente è più facile pretendere i rimborsi delle quote latte anziché dare soldi ai Paesi condannati a gestire, da soli, l’arrivo delle carrette del mare. Così come manca del tutto un responsabile impegno a regolamentare, con accordi internazionali, la tragedia dei flussi migratori.
Finora non mi pare d’avere sentito nessuno ˗ dico: nessuno! ˗ tra coloro che le Segreterie dei partiti stanno candidando alle Europee, che accenni ad uno straccio di programma su questo delicato argomento di una trasmigrazione che tra non molto rischia di diventare biblica.
Con quali intenzioni questi candidati si prefiggono di andare a Bruxelles?

Che cosa offrono ai cittadini in cambio di un voto richiesto a gran voce attraverso i megafoni delle radio, delle televisioni, dei maxi manifesti?

Gli italiani, in primis, dovrebbero prendersela contro la pochezza di idee di costoro. E, solo dopo, contro l’esercito di stranieri che, senza lavoro, non hanno altra scelta che ingrossare le file della delinquenza. Né più né meno degli italiani che si trovano nelle medesime condizioni!

 

E a Brindisi alligna il razzismo?

È probabile che sia presente in fondo agli animi e che, talvolta, getti una luce inquietante sui pensieri quotidiani. Senza però venire fuori in maniera eclatante, come succede nel resto del Paese.

Certo, ogni tanto si sente qualche commento sugli extracomunitari che assorbono risorse proprio nel momento in cui tanti ragazzi brindisini passeggiano per il Corso. Ma da questo a passare alla violenza gratuita ce ne vuole.

 

Del resto il popolo brindisino, in più di duemila anni di storia, ne ha visto di stranieri! E solo in casi eccezionali si è ribellato.

Viceversa ha accolto tutti (meno i turchi dell’impero Ottomano…) senza porsi il problema della provenienza o del colore della pelle.

 

Diciamo che se l’accoglienza si potesse rappresentare graficamente sarebbe il simbolo più idoneo a sostituire le colonne romane sul gonfalone della città.
Una città che avrebbe avuto titolo, più di tante altre, ad una medaglia al valor civile per l’accoglienza, nel 1991, degli oltre ventimila albanesi.

Ma non l’ha mai reclamata quella medaglia, consapevole che quello spontaneo atto umanitario costituisse la più gratificante delle onorificenze.

 

Noi brindisini conviviamo bene con questi ragazzi africani che girano per la città sulle biciclette donate loro perché noi, nel frattempo, siamo diventati ricchi. Né consideriamo una concorrenza sleale le umili attività da loro svolte come raccoglitori di pomodori e olive o pulitori di vetrine o garzoni tuttofare, perché si tratta di lavori che noi, europei-di-prima-generazione, non ci sentiamo più di fare.

 

dormitorio-in-strada Allora, se le cose stanno così, come si spiega la gazzarra che qualche giorno fa ha bloccato, grazie anche ad alcuni cassonetti dell’immondizia, la circolazione delle auto in via Provinciale per S. Vito?

Cosa ha spinto gli ottanta giovani africani, ospiti del dormitorio comunale, a scendere in strada per gridare la loro rabbia e, ancor più, la loro impotenza di non-cittadini?
Semplice: li ha indotti ad agire così il silenzio di chi doveva ripristinare, da ben tre giorni, l’energia elettrica nel fabbricato del dormitorio.

 

Vale la pena di precisare che il dormitorio, dal luglio 2013, è gestito dalla Cooperativa “La città dei servizi”, subentrata alla Caritas.

La struttura apre i battenti alle ore 19.00 e chiude alle ore 9.00.

Durante il giorno, quindi, è vietata la permanenza nel fabbricato, ma chi transita per via Provinciale S. Vito assiste quotidianamente alla scenetta dei continui scavalcamenti della recinzione da parte degli aventi diritto e non…
E d’altro canto dove dovrebbero sostare questi ragazzi una volta terminato il lavoro giornaliero (per quelli che ce l’hanno)?

Dove dovrebbero ripararsi dalla poggia e dalla tramontana e, tra non molto, dalle temperature torride dell’estate?
Come d’incanto, ad opera della Energeko, l’emergenza, già nella serata, è stata parzialmente risolta e sono stati resi noti anche i motivi che hanno portato al blackout: un sovraccarico di energia causato dal numero eccessivo di utenze collegate alla rete.
La successiva nota del Sindaco ha fatto presente che gli ospiti “sanno bene che non è possibile usare fornellini, né tantomeno prolunghe elettriche in quanto si violano le più elementari norme di sicurezza. Il permissivismo del passato non si ripeterà, anche in riferimento agli atti vandalici degli stessi occupanti… che hanno praticamente reso inservibili i bagni realizzati poco tempo fa con il denaro dei contribuenti brindisini”.
Giustissimo! Solo che, nelle stanze dove si prendono le decisioni, non si è tenuto conto che un dormitorio non può certo risolvere il problema di questi ragazzi.

A parte il pasto presso la Caritas, come e dove possono vivere per il resto della giornata?
Come se non bastasse la criticità di questa situazione, così conclude la nota del Sindaco: “… Non escludo che si possa giungere alla chiusura del dormitorio, pur consapevole delle conseguenze che tale scelta determinerebbe”.
Caro Sindaco, prima di passare agli ukase di stampo sovietico, sarà bene accertare le responsabilità di chi è tenuto a controllare l’applicazione delle norme.
E poi è veramente eufemistico pensare che un gruppo di giovani extracomunitari possa autogovernarsi.

Tra i doveri che abbiamo in quanto “europei-di-prima-generazione” c’è anche quello di educare gli immigrati al rispetto del bene pubblico.
Onestamente come si può pretendere da loro un comportamento da “buon cittadino” visto che non hanno ancora questo status (e forse mai l’avranno) e visto che i brindisini della loro stessa età si abbandonano ad atti di vandalismo ben più vergognosi (come lo scempio compiuto nei parchi urbani)?
Non si tratta di essere buonisti, ma logica vuole che, prima di giungere a soluzioni estreme, si debbano porre in essere tutti i controlli (continui e non di facciata o temporanei!) atti ad evitare il dispendio di pubblico denaro e, nel contempo, ad assicurare una decente permanenza a queste persone.

 

E se la Pasqua è l’atto di amore per eccellenza, allora buona Pasqua a tutti.

Anche agli ottanta extracomunitari del dormitorio comunale.

 

Guido Giampietro

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