July 27, 2024

Brundisium.net

La notizia potrebbe non destare molta attenzione. Si tratta del restauro della Fontana dell’Impero, ma è proprio il richiamo all’“Impero”, quello del Ventennio, che rischia di sollevare un ennesimo polverone.

 

Non so a voi, ma a me questa fontana (anche senza acqua!) suggerisce un parallelo scenografico con quella molto più gettonata della Capitale. Infatti, come a Roma, grazie a una scalinata infiorata da azalee, dalla Barcaccia di Piazza di Spagna si sale su fino a Trinità dei Monti, così da noi una non meno suggestiva scalinata porta dalla fontana fino alla piazza soprastante cui fanno da cornice l’ex Convento dei carmelitani scalzi (ora Archivio di Stato) e il monumento ai Caduti realizzato dal nostro insigne scultore Edgardo Simone.

 

Un paragone irreverente? Non credo, o quantomeno non molto. Perché la vista che si gode dalla fontana è tra le più belle della marina. E poi ha la sua storia.

 

Per questi motivi i lavori che l’interesseranno assumono una particolare importanza. Visto che nel passato siamo stati maestri, in occasione di restauri e/o pulizie di scritte (due fra tutte: l’iscrizione del 1618 sulla fontana De Torres e il bassorilievo realizzato da Amerigo Tot sull’ingresso del Nuovo Teatro Verdi), nel fare veri e propri disastri.

 

Torniamo dunque alla notizia. Il Commissario prefettizio ha indetto una gara con base d’asta di 101.605,24 euro per il restauro della Fontana dell’Impero realizzata nel 1940 per volere della Amministrazione provinciale. Su di essa, oltre al colpo d’occhio delle lastre di marmo verde che fanno da pendant alle verdi acque del porto, è ancora leggibile la scritta: Anno Domini MCMXL/XVIII ab Italia per fasces renovata Victorio Emanuele III rege et imperatore Benito Mussolini duce Provincia f.f.» (dove “f.f.” sta per feliciter fecit).

 

Il problema che ora si pone è se, in occasione della pulitura debba essere anche “pulita” la scritta che riporta al periodo fascista. In effetti, da quanto si deduce dalla delibera, il restauro non ne prevede la rimozione, ma “sottolinea l’esigenza di garantire interventi di tutela per i propri beni monumentali”.

 

In ogni caso la questione non è irrilevante anche alla luce dei recenti episodi marcati estrema destra verificatisi in Italia e in Europa e delle polemiche seguite alla sepoltura dei reali “piemontesi” nel santuario cuneese di Vicoforte.

 

Proprio per evitare critiche a posteriori sarebbe stato auspicabile, da parte del Commissario, un coinvolgimento della città, prima ancora di sottoporre il progetto al Segretariato regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la Puglia e al parere propedeutico della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto.

 

Comunque, a prescindere dalle modalità seguite, si ripresenta il problema se le opere del Ventennio e i simboli ad esse associate vadano conservate o cancellate. In particolare, come nel presente caso, se debbano rimanere a imperitura memoria le dediche a Mussolini e a Vittorio Emanuele III, il re che non impedì la marcia su Roma, che autorizzò l’entrata in guerra dell’Italia e, soprattutto, che firmò le leggi razziali.

 

Già a Brindisi, in occasione del restauro del Monumento al Marinaio d’Italia inaugurato il 4 novembre 1933 proprio dal re “sciaboletta”, sparirono i grandi fasci che campeggiavano lungo le fiancate dell’opera. Per quale motivo? Chi ne autorizzò la rimozione? Quanti la subirono senza avere la possibilità di un confronto? E perché in altre parti del Paese le decisioni sono state diverse?

 

Per esempio a Roma, dopo il restauro dell’ex Casa della Gioventù Italiana del Littorio (capolavoro del Razionalismo italiano firmato nel 1933 da Luigi Moretti) campeggia ancora sulla facciata lo slogan mussoliniano «Necessario vincere /più necessario combattere».

 

E, sempre a Roma, in zona Eur, sul frontone del palazzo della Civiltà Italiana di Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno Lapadula e Mario Romano (più conosciuto come il “Colosseo quadrato”) si legge ancora la famosa scritta: «Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori». Vale a dire un passaggio chiave del discorso di Mussolini del 2 ottobre 1935, quello della proclamazione della guerra all’Etiopia.

 

Ma anche a Bolzano, nonostante i restauri, sono rimasti i grandi fasci littori e la Vittoria sagittaria sul monumentale complesso marmoreo celebrativo della vittoria italiana nella prima guerra mondiale sull’Austria-Ungheria. E nei dibattiti che si sono succeduti nel tempo, tra l’altro in una regione in cui ancora forte è il contrasto tra le comunità italiana e tedesca, si è andato affermando il principio della storicizzazione dei manufatti del periodo fascista, evitandone smantellamenti e rimozioni.

 

Un altro caso di conservazione dello status quo è dato dalla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, amata da Mussolini perché Margherita Sarfatti, sua Musa e amica del cuore, lo convinse che, dall’alto, il complesso appariva come un fascio.

 

E che dire che a Latina (fondata in pieno periodo fascista col nome di Littoria) non si è mai pensato di abbattere il Palazzo Emme che, per il disegno architettonico a forma di M, si riferisce inequivocabilmente a Mussolini?

 

Un discorso a parte merita l’obelisco del Foro Italico, fulcro del progetto del “Foro Mussolini” di Enrico Del Debbio e completato sotto la guida di Moretti. Qui la scritta “Mussolini Dux” è tuttora al centro di un vivace dibattito dopo che la Presidente della Camera, Laura Boldrini, l’ha messa in discussione.

 

Dopo la cerimonia svoltasi a Montecitorio per ricordare il 70° anniversario della Resistenza, e le doglianze di un anziano partigiano per l’anacronistica permanenza di quel “Dux”, la Boldrini così aveva sentenziato: «Ci sono persone che si sentono colpite dalla scritta Mussolini Dux sull’obelisco del Foro Italico, a volte anche offese… In Germania i simboli del nazismo non ci sono più. Non possiamo sottovalutare il fatto che ci sono alcune persone che hanno dedicato la loro giovinezza a liberare il loro Paese e che si sentano poco a loro agio quando passano sotto certi monumenti».

 

A mio parere lasciare quelle scritte, seppure testimoni di un periodo storico nefando, non vuol dire non rispettare la memoria di chi, in buona fede, ha servito la Patria e per essa è morto. Semmai è vero il contrario. La permanenza di quei simboli serve a tenere desta la memoria di ciò che di terribile è accaduto. Serve per raccontarlo ai giovani per i quali “dux” rimarrebbe un vocabolo latino traducibile in condottiero e i fasci littori le armi dell’antica Roma portate dai littori.

 

Se questi ricordi non si “vedono” con gli occhi di oggi si rischia di aumentare la schiera dei negazionisti che affermano che la Shoah non è esistita e le camere a gas riservate a milioni di ebrei sono una pura invenzione.

 

In Germania la pensano diversamente, dice la Presidente. Non mi pare. La Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche (Chiesa della Memoria), da me visitata in occasione di un viaggio a Berlino, fu gravemente danneggiata in un bombardamento nel 1943. Ebbene, l’edificio originario non è stato più ricostruito, ma è stato affiancato da architetture moderne. E il contrasto tra le rovine antiche e la parte moderna è la testimonianza degli orrori della Seconda guerra mondiale.

 

E che dire del Campo di concentramento di Auschiwitz-Birkenau, lasciato così come fu trovato dai russi durante la liberazione della Polonia, con la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi) posta all’ingresso del lager? La memoria di quell’obbrobrio è un monito per le nuove generazioni. E per sottolinearne l’importanza, quel luogo di morte, nel 1979, è divenuto patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

 

Ma la distruzione “fisica” del passato, di qualunque passato, comporta anche un delitto nei confronti delle arti. Nulla può giustificare l’abbattimento di edifici, sculture e pitture che hanno la colpa di rappresentare un dato momento storico.

 

Per rimanere nell’ambito del periodo fascista lo storico Vittorio Vidotto così si esprime: «Cancellare le tracce urbanistiche del fascismo? Non ha alcun senso. Ormai vanno, anzi, conservate e restaurate come elementi importanti della nostra storia. In pura teoria, dovremmo distruggere autentici capolavori architettonici, monumentali, persino musivi: penso agli splendidi mosaici proprio del Foro Italico, oggi devastati dagli skateboard».

 

Anche la Fontana dell’Impero è un bell’esempio del Razionalismo italiano tornato prepotentemente di moda. Ma, soprattutto, è la testimonianza di quel particolare momento che nella sua drammaticità (ma anche nelle cose buone) ha vissuto la nostra città.

 

Né è a dire che abbiamo bisogno di cancellare la nostra memoria, perché talvolta la “damnatio memoriae” finisce per diventare un elemento di debolezza e non di forza da parte di chi la esercita. Possiamo stare più che tranquilli che non ci saranno sbandate nell’ultra destra perché i principi della lotta antifascista sono scritti nella nostra Costituzione.

 

Cancellare la scritta dalla Fontana dell’Impero creerebbe solo imbarazzo nel momento in cui dovessimo spiegare questo errore ai nostri figli.

 

Guido Giampietro

 

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