Da un po’ di tempo Facebook cerca d’ingraziarsi le mie simpatie inviandomi collage dei miei post equamente distribuiti negli anni oppure, in maniera più persuasiva, messaggi del tipo: “Un anno fa… tre anni fa… cinque anni fa – Visualizza i tuoi ricordi”.
Dico subito che entrambi questi richiami, lungi dall’attivare la mia curiosità ̶ peraltro molto al di sotto di quella delle scimmie ̶ sortisce l’effetto opposto: quello d’indispormi.
Per convinzione, da quando ho aderito a Fb ho evitato di pubblicare le mie foto, con l’unica eccezione, per motivi di pubblicità e marketing, di quelle che riprendono le copertine dei miei libri.
A maggior ragione, d’accordo con tutta la famiglia, non mi sono lasciato prendere dalla voglia di dare in pasto ai social network le foto dei nipotini. E sì che l’orgoglio di zio per quella bellezza che rifiutavo di condividere con tanti, anche estranei, provocava in me disappunto. Ma poi il solo pensiero che l’innocenza di quelle immagini avrebbe potuto essere violata dagli orchi della Rete mi rassicurava della bontà della decisione.
Oggi che il “Diritto all’Oblio” non rappresenta più un pio desiderio ma una concreta esigenza e, direi, emergenza, questo mio comportamento trova una sua giustificazione.
C’è intanto da dire che il problema non è solo dei giorni nostri. Già Friedrich Nietzsche l’aveva ipotizzato in tempi non sospetti. Infatti, nelle “Considerazioni inattuali”, così diceva: «L’uomo invidia l’animale che subito dimentica…
L’animale vive in modo non storico, poiché si risolve nel presente… L’uomo invece resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato… Per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non solo luce, ma anche oscurità. Si deve sapere tanto “dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto”».
Oltretutto il ricordare non sempre porta alla luce le belle sensazioni provate da Proust nell’inzuppare nel tè le Petites Madeleines preparategli dalla madre. I ricordi di Facebook non ripropongono quel piacere delizioso che l’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. E gli “aveva subito resi indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso in cui agisce l’amore”, colmandolo d’un’essenza preziosa.
No, i ricordi di Fb sono più terra terra. E fanno paura perché fanno circolare, forse per l’eternità, testi e foto di cui ci siamo vergognati un attimo dopo averli pubblicati. E perché l’addio definitivo ai social network, di fatto, risulta impossibile o quantomeno molto difficile!
Già nel 2009 Bill Gates chiese di chiudere il suo account Facebook per “eccesso di amici”. E più recentemente ci ha provato Lapo Elkan a tentare l’addio ai social. Purtroppo la semplice volontà dei singoli non è sufficiente. Così testi e foto continuano a girare indisturbati e, quel che è peggio, ad essere commercializzati. Addirittura gira materiale che non è stato nemmeno postato dai diretti interessati.
E questo malgrado la discussa sentenza (13 maggio 2014) sul “diritto all’oblio” della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha stabilito per i cittadini europei il diritto di chiedere ai motori di ricerca di eliminare dalle loro pagine dei risultati i link verso cose che li riguardano nel caso in cui li ritengano “inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati”.
Ma, si badi bene, la richiesta di deindicizzazione non vuole dire cancellare da Internet gli articoli/foto che ci riguardano; vuol dire solo che la ricerca su Google non darà più nei risultati quei link che abbiamo segnalato. Quindi le pagine deindicizzate resteranno dove si trovano. L’unico modo per cancellarle definitivamente è contattare il webmaster del sito che ha pubblicato l’articolo!
Apro una parentesi. Per uno come me a digiuno di informatica, la Rete viene immaginata come una matassa di fili invisibili che avvolgono la Terra e che, insieme alle onde elettromagnetiche delle televisioni, delle radio e dei telefonini, attraversano minacciosamente anche i nostri corpi…
Si fa un gran parlare delle polveri sottili e della loro incidenza malevola sugli organismi umani. Ma almeno quei prodotti sono visibili ed entrano in noi solo se li respiriamo o ci nutriamo di sostanze a loro volta inquinate. Purtroppo siamo impotenti di fronte all’enorme “matassa” creata da Internet. Sarà altrettanto pericolosa? Mah!
La realtà è che, mentre da un lato si discute di energie alternative, per quanto riguarda le conseguenze degli invisibili fili che ci imprigionano in un bozzolo pericoloso, non si fanno studi. O, se si fanno, ci si guarda bene da darli in pasto alla gente comune.
Ma oltre alla questione fisica ce n’è anche una morale. È giusto che i nostri ricordi continuino a girare anche dopo la nostra esistenza terrena? È corretto che vengano conservati all’infinito in un server ubicato in qualche sperduto deserto? È così difficile appellarsi al Diritto all’Oblio (ma in una visione globale e non solo europea)? E soprattutto è possibile evitare che Google, finora il motore di ricerca più perseguito dalla giustizia europea e da quelle nazionali, accettando o meno le richieste di deindicizzazione, finisca per essere il giudice di se stesso?
E anche in caso di chiusura dell’account la legge ancora non prevede la possibilità di tornare in possesso esclusivo dei nostri dati personali, video e fotografie comprese! E come è successo di recente nel napoletano una donna, perseguitata dai filmati hard che incautamente aveva postato, è scesa nello scantinato impiccandosi con un foulard azzurro appeso a un tubo.
Quando accettiamo di entrare in un social network purtroppo non ci prendiamo la briga di esaminare attentamente le condizioni del contratto. Accettiamo tutto perché così hanno fatto gli amici e gli amici degli amici. Addirittura su Twitter perdiamo il copyright su ciò che diciamo. Come dire: verba volant, Internet manet.
Con ciò non voglio demonizzare questo meraviglioso mezzo del progresso. E dissento anche da Umberto Eco quando diceva: «I social network danno la parola a milioni di imbecilli. E la socievolezza è un’altra cosa».
Io desidero solo affermare il mio sacrosanto Diritto all’Oblio. E siccome non sono un vip come Lapo Elkan, lo voglio fare dal mio computer con un semplice clic, senza dover ricorrere alla Commissione di Google, unica delegata ad esaminare questi casi. Insomma, quando lo voglio, devo potere uscire da questo centrifugatore di Google e Facebook. Perché sull’eternità e l’immortalità ho le mie idee che differiscono alquanto da quelle di questi furbastri della Rete.
Altro che “visualizza i tuoi ricordi”… I miei ricordi sono solo e soltanto miei!
Guido Giampietro
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