In occasione della celebrazione del 205° Annuale di Fondazione dell’Arma dei Carabinieri, in Brindisi presso Palazzo Virgilio in Corso Umberto I, Taitù pelletteria in Corso Garibaldi, nel Teatro Verdi e nel Museo Faldetta, saranno esposte alcune uniformi storiche dell’Arma dei Carabinieri, sotto raffigurate.
È uno spaccato che va dai Carabinieri Reali dell’Africa Orientale Italiana, arruolati durante le conquiste coloniali, all’anno 2000, importante spartiacque con la cosiddetta “rivoluzione rosa”. Le donne nell’Arma, inserite in tutte le organizzazioni: centrale, territoriale, addestrativa, mobile e speciale, sono impiegate anche nelle missioni all’estero, nel corso delle quali hanno fornito un importante contributo alle operazioni di pace, soprattutto nelle aree di religione islamica dove hanno favorito i contatti con la popolazione femminile locale.
Le uniformi rimarranno in esposizione sino al 15 giugno p.v., giornata in cui avrà luogo in Brindisi, nel Piazzale Lenio Flacco, il concerto della Banda dell’Arma dei Carabinieri.
REALI CARABINIERI: ZAPTIE’ GUARDIA GOVERNATORIALE AMHARA AFRICA ORIENTALE
L’Impero in Africa Orientale, sotto il comando di un Vicerè, era diviso in numerosi governatorati, corrispondenti ai territori geografici e tribali africani. Esistevano quindi L’Amhara, il Goggiam, l’Oltregiuba, il Galla-Sidamo, ecc.
In ognuno di questi territori, i Governatori potevano crearsi una Guardia personale con uniformi solitamente più fastose di quelle regolamentari anche per colpire la fantasia degli indigeni e assicurarsene la fedeltà.
I RR. CC. di colore venivano chiamati “Zaptiè” da un termine arabo che significa “ gendarme”
Questa uniforme si compone di un turbante rosso ,tipico degli Zaptiè a cavallo, con fregio della specialità costituito da una granata argentea, liscia con sciabole incrociate con fiocco rosso ricadente.
Poi viene indossato un camiciotto bianco con collo rosso e alamari senza stellette e, sopra, un corto giacchino detto “farmula” di colore rosso con ricami derivati dal folclore indigeno e le granate dell’Arma.
Pantaloni sempre bianchi da cavallo con fascia rossa in vita, gambali marroni da cavalleria e sandali indigeni (obbligatori) L’armamento da parata consisteva nella sciabola mod ’71 da Cavalleria e In alcuni casi di scorta anche dalla lancia mod 1909
REALI CARABINIERI: TENUTA ORDINARIA mod 1902 – MAGGIORE
Nel 1902, dopo un biennio di transizione, si applica il nuovo Regolamento per l’Uniforme degli Ufficiali con l’adozione di una giubba di panno turchino con due file di nove bottoni (solo per i RR.CC.), collo “in piedi” con alamaro argenteo da Ufficiale(sempre solo per i RR.CC.). mezza fodera anteriore di panno rosso, paramani profilati di rosso.
Le differenze più importanti rispetto alle giubbe del modello precedente consistono nell’abolizione dei gradi “ a fiore “ sulle maniche, l’applicazione delle stellette metalliche di grado sulle controspalline semifisse e la progressiva scomparsa delle profilature rosse.
I pantaloni sono lunghi con la tenuta ordinaria con doppia banda rossa ed eventuale sottopiede.
Questa è una uniforme specifica per i Reali Carabinieri perché le altre Armi portavano giacche con sette coppie di bottoni e collo rovesciato con mostre reggimentali e la stessa differenza verrà ripresa dalla riforma Baistrocchi del 1934 a proposito della Uniforme nera da sera.
Il copricapo o kepì di forma cilindrica, presenta una profilatura rossa inferiore e tre piccole profilature argentee posteriormente e sui lati.
I distintivi di grado sono presenti sotto forma di galloni argento posti sopra la sopraffascia di velluto.
La Fiamma è dorata per gli Ufficiali con Monogramma Reale
RR.CC.: TENENTE IN UNIFORME DA COMBATTIMENTO – 1917 e segg.
L’elevato numero di decessi tra gli Ufficiali, avvenuto nei primi due mesi di guerra, indusse il Comando Supremo ad abolire velocemente le insegne di grado (alamari d’argento, cinturoni con placca) per evitare che i cecchini nemici si accanissero, creando un comprensibile disorientamento tra i soldati.
Rimane il colletto foderato di panno nero con alamari da truppa per tutti ma, tratto distintivo, vengono concesse quattro tasche a vista. La disposizione generò un impressionante numero di modelli diversi di giacca, poi uniformate a fine guerra da draconiane circolari. I gradi vengono apposti sulle manopole della giubba in modo poco visibile.
L’uniforme diviene quindi di panno da truppa o di cordellino grigioverde con buffetterie dello stesso colore ma senza accessori argentati.
Agli ufficiali a cavallo viene lasciata la bandoliera da cavalleria mod 1914 e, come armamento, la pistola automatica Glisenti mod. 1910 o la Beretta Mod. 1915. Permane il divieto della sciabola che viene portata solo “ alla sella”.
Pantaloni corti da cavallo e stivali, gambali o fasce completano in momenti successivi l’abbigliamento.
L’elmetto Adrian con cappietto ,coccarda e fiamma permette di datare l’uniforme al 1917, perché solo nel gennaio di quell’anno fu concesso ai RR.CC. di indossare l’elmetto: precedentemente, alla truppa, era consentita solo la lucerna per l’effetto deterrente che aveva sui soldati che indietreggiavano in combattimento.
TENUTA DI SERVIZIO KAKI ANNI ‘50
Terminata la seconda guerra mondiale, la riorganizzazione dello Stato Repubblicano, dopo una fase di transizione, portò ad una nuova organizzazione delle Forze Armate e dei Carabinieri che, prima Arma dell’Esercito, seguirono le nuove disposizioni anche in tema di uniformi.
Dismesso definitivamente il grigioverde, l’esercito adottò il kaki come colore delle uniformi e i Carabinieri, pur mantenendo le uniformi nere per i servizi d’Istituto, adottarono l’uniforme modello 1948, sia nella versione invernale di panno, sia in quella estiva di tela o gabardine.
Il berretto, di tipo piatto e molto più basso di quelli prebellici, è kaki con visiera e soggolo marrone e fiamma metallica del tipo usato dal 1951 al 1975.
La giacca, di taglio tradizionale, con controspalline semifisse profilate e tasche a toppa con cannello centrale al petto e ai fianchi, monta i bottoni emisferici d’argento tradizionali e un cinturino della stessa stoffa a doppia fibbia.
Pantaloni lunghi dritti da infilare nelle ghette di tipo inglese nei servizi armati Scarpe marroni.
Nel 2000 ci fu un’altra rivoluzione per tutte le Forze Armate e, quindi, anche per l’Arma. La rivoluzione “rosa”. Furono arruolate le prime donne carabiniere, in applicazione della legge approvata nell’ottobre del 1999 che prevedeva l’ingresso nelle Forze Armate del personale femminile.
Nell’arma l’arruolamento femminile è stato disciplinato in modo graduale, sia per oggettivi problemi infrastrutturali (la predisposizione di alloggi dedicati alle donne negli istituti di istruzione e nelle strutture operative territoriali), sia per cercare di favorire al meglio l’integrazione, provvedendo a formare, prima, il personale femminile che avrebbe dovuto, poi, mettere a sua volta a disposizione delle nuove leve le esperienze e le conoscenze necessarie. Sono stati, quindi, banditi concorsi per reclutare, nell’ordine, donne ufficiali, poi marescialli ed infine carabinieri. Le prime ufficiali donne a indossare le stellette nell’Arma dei Carabinieri, nell’anno 2000 vinsero il concorso per tenenti in servizio permanente effettivo del ruolo tecnico logistico amministrativo, nella specialità Psicologia. Al termine del corso di formazione, sono state nominate capitano e immesse nella vita militare in cui hanno fatto, in pratica, da battistrada per tutte le future colleghe.
Le donne sono state via via immesse in tutti i ruoli dell’Arma. Nei primi mesi di quest’anno erano quasi duemila: per metà ufficiali e marescialli, e per metà brigadieri, appuntati e carabinieri. Sono, ormai, inserite in tutte le organizzazioni: centrale, territoriale, addestrativa, mobile e speciale – a eccezione dei battaglioni impiegati nell’ordine pubblico – e anche nei reparti per esigenze specifiche. Le donne sono state impiegate anche nelle missioni all’estero, in cui hanno fornito un validissimo contributo alle operazioni di pace, soprattutto nelle zone a religione islamica, dove hanno favorito i contatti con la popolazione femminile locale.
Non va dimenticato, in proposito, che proprio nel corso di una di queste missioni, quella in Iraq, una donna, il maresciallo Marilena Iacobini, riportò gravissime ferite nel sanguinoso attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003, in cui morirono 12 militari dell’Arma.
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