September 15, 2024

Durante la trasmissione televisiva “Ballarò” del 12 novembre il Presidente dell’Istituto “Ipsos Italia” Nando Pagnoncelli, nel dare l’esito del sondaggio settimanale sugli umori politici del Paese, ha fornito, tra l’altro, i dati delle risposte ad alcune domande sulla popolarità di cui godono sulla totalità degli elettori i due esponenti del PD Matteo Renzi ed Enrico Letta.
Alla domanda “chi sarebbe il migliore candidato premier del centrosinistra?” il 49 per cento si è espresso per Renzi e il 40 per Letta.
Situazione questa completamente rovesciata nelle risposte sia alla domanda “chi dei due è più preparato?” col 59 per cento in favore di Letta e il 28 in favore di Renzi e sia alla domanda “chi dei due le ispira più fiducia?” col 46 per cento in favore di Letta e il 42 in favore di Renzi.

E’ vero che i citati quesiti avevano il limite della mancanza di qualsiasi riferimento alle idee politiche dei due personaggi (entrambi appartenenti comunque allo stesso partito) ma non vi è dubbio che le risposte rivelano orientamenti marcatamente contraddittori e mettono in luce la prevalente presenza nell’elettorato di una mentalità che non privilegia, nella scelta dei politici chiamati ad esercitare funzioni pubbliche anche ai vertici dello Stato, una preparazione adeguata alle esigenze del ruolo da svolgere e una saggezza e una correttezza tali da suscitare fiducia.
Eppure la preparazione, vale a dire il possesso delle cognizioni e dell’esperienza necessarie per il proficuo svolgimento di un determinato mandato, e la fiducia, vale a dire un modo di pensare e di agire tale da suscitare negli altri la profonda convinzione d’essere all’altezza delle loro attese e speranze, sono qualità che dovrebbero, specialmente in simili casi, costituire il primario e decisivo criterio di scelta.

Il sondaggio di Pagnoncelli ha quindi messo in rilievo che la maggioranza degli elettori, con un netto capovolgimento della scala dei valori, fa le sue scelte più per impressioni e istinto che sulla base di valutazioni razionali privilegiando i requisiti esteriori attinenti all’immagine (simpatia, disinvoltura, atteggiamenti accattivanti, capacità di bucare lo schermo) piuttosto che quelli interiori di natura intellettuale e morale (preparazione, competenza, coerenza, correttezza, lealtà).
Ora, prescindendo da qualsiasi opinione sulle qualità dei due possibili candidati in questione, il messaggio implicito riveniente dall’indagine dell’Istituto “Ipsos” merita qualche riflessione e preoccupa non solo perché sostanzialmente coincide con le risultanze di altri simili sondaggi ma anche e soprattutto perché rispecchia mentalità e inclinazioni confermate da quanto accade sullo scenario politico del nostro Paese: dalla spolverata di Berlusconi prima di prendere posto, durante la oramai “storica” puntata televisiva di “Servizio pubblico”, sulla sedia precedentemente occupata dal “nemico” Travaglio che fa risorgere il Cavaliere dalle ceneri di una rovinosa caduta di consensi allo scintillante semplicismo di Renzi che propizia al sindaco di Firenze una fulminante carriera politica e dalle assordanti quanto inconsistenti sfuriate di Grillo condite da anatemi e dileggi che fruttano all’ex comico genovese un incredibile successo elettorale al colorito linguaggio e alla volgare gestualità di Bossi che ne hanno fatto un fortunato e intramontabile personaggio.

Se così stanno le cose, la crisi politica che stiamo vivendo non è attribuibile solo alle responsabilità di una classe politica in larga parte inadeguata e spesso corrotta ma è da ascrivere anche e soprattutto alle colpe della società che la esprime.
Siamo invero di fronte a una crisi morale che è in sostanza una crisi culturale ampiamente attestata dai dilaganti scandali, dal diffuso malaffare, dal mastodontico fenomeno dell’evasione fiscale, dai perversi sodalizi fra uomini delle istituzioni e loschi affaristi, dal vergognoso trasferimento di lucrosi incarichi per “diritto” di discendenza da padri a figli, dall’inossidabile istituto della raccomandazione, dai concorsi truccati, da corporazioni chiuse nei propri privilegi, dall’uso per interessi personali di strumenti (autovetture e cellulari) avuti in dotazione per finalità di servizio, dal riconoscimento di inesistenti invalidità da parte di compiacenti commissioni e dall’assenteismo sui posti di lavoro.
Una crisi culturale comprovata altresì da quel “familismo amorale” per il quale gli interessi del parente, dell’amico, del compare di partito o di congrega vengono prima del rispetto dovuto a elementari esigenze di giustizia secondo un deplorevole costume diffuso nel ceto politico e anche negli ambiti dello sport, delle professioni e del mondo degli affari.

C’è allora bisogno del profondo rilancio di una cultura rigeneratrice ancorata ai grandi principi costituzionali e tale da far crescere nel maggior numero possibile di cittadini l’attitudine a interpretare autonomamente e criticamente i dati della realtà. Solo infatti l’affermarsi di una tale cultura, alimentata dalla partecipazione democratica, può mettere al bando le corruzioni, i privilegi, le lotte di potere e i leaderismi più o meno carismatici per aprire la strada a un radicale rinnovamento della politica che ovviamente non può limitarsi al solo dato anagrafico perché spesso il “nuovo” che avanza non è migliore, e può essere talvolta anche peggiore, del “vecchio” che dovrebbe arretrare.
Si comprendono allora le ragioni per le quali la nostra Costituzione fa carico alla “Repubblica”, e quindi a tutte le espressioni di rilievo pubblico del Paese, di “promuovere lo sviluppo della cultura” la cui diffusione richiede un costante impulso da parte di tutti coloro che, nelle istituzioni o fuori di esse, svolgono un ruolo di guida o si trovano comunque in una posizione di preminenza rispetto alla generalità dei cittadini.
E si comprende perché alla cultura fa implicito riferimento il nostro Statuto quando sollecita la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che “di fatto” limitano l’uguaglianza e impediscono la partecipazione di tutti i lavoratori alla vita politica del Paese.
L’eliminazione insomma di tutto ciò che impedisce l’uguaglianza e la partecipazione non secondo concezioni astratte ma “di fatto”: una preziosa precisazione dovuta alla proposta della più giovane componente dell’Assemblea Costituente, quella Teresa Mattei che aveva partecipato alla Resistenza e confidava nella forza liberante e trasformatrice della “politica” intesa nel suo significato più alto e più nobile.
Una partecipazione certo impossibile senza il soccorso di una cultura tale da rendere ciascun cittadino capace di valutazioni critiche e di autonome scelte.

Michele Di Schiena

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