Nel corso delle prime ore odierne, il Personale della Compagnia Carabinieri di San Vito dei Normanni ha eseguito tre ordinanza di custodia cautelare emesse sulla scorta di investigazioni attivate per contrastare il fenomeno del “caporalato”.
Come dimostrano le molteplici ordinanze di custodia cautelare ormai emanate da più giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi (le prime delle quali hanno trovato pieno conforto nel Tribunale del “riesame” e nel primo grado di giudizio), il fenomeno è piuttosto radicato nella nostra zona e, negli ultimi tempi, si è fatta più stringente l’attività di contrasto anche grazie alla recente riformulazione dell’art. 603-bis del Codice penale, che, dal 4/11/2016, ha rafforzato la complessiva “risposta” sociale (e non solo giudiziaria) al caporalato.
A finire in carcere per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è stata la 49enne Annamaria Iaia (condotta stamane nella Casa circondariale di Lecce). Agli arresti domiciliari sono stati condotti il 48enne Giovanni Bello e la 72enne Anna Errico.
Iaia e Bello sono stati denunciati anche per due delitti di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche commessi in danno dell’I.N.P.S., insieme all’amministratrice unica e rappresentante legale di una grossa srl di Polignano a Mare attiva nel “Commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi o conservati” (con un fatturato dichiarato pari ad € 12.012.789,00). L’imprenditrice non è stata sottoposta a misura cautelare soltanto perché il giudice ha ritenuto sufficiente, per evitare che continuasse a delinquere, il sequestro preventivo di quasi 3.600,00 euro, costituenti il profitto del reato di truffa consumato (il secondo delitto di truffa non è giunto a consumazione poiché gli inquirenti hanno bloccato l’attività criminosa, consistente nel denunciare all’I.N.P.S giornate lavorative fittizie, nell’interesse di alcune operaie).
Sia Iaia che Bello erano dipendenti dell’azienda di Polignano: la prima come operaia agricola, il secondo come autista. In realtà Bello esercitava anche attività di vigilanza sulle prestazioni lavorative di una sua “squadra” impegnata all’interno del magazzino o nelle campagne (come da lui stesso affermato nel corso di una conversazione intercettata “Io sono responsabile per i miei nel magazzino”), e concordava con Iaia le assunzioni.
Entrambi, reclutando, fra il 3/1/2015 ed il 3/11/2016, 22 braccianti agricoli e trasportandoli quotidianamente da San Vito dei Normanni a Carovigno a bordo di un veicolo FIAT “Ducato” intestato alla “2 ERRE s.r.l.”, dopo essere già stato di proprietà della stessa IAIA, e di un veicolo FIAT “Scudo” di proprietà IAIA, avevano organizzato un’attività d’intermediazione proseguita (per lungo tempo, sotto lo stretto controllo dei Carabinieri) anche nell’arco temporale 4/11/2016-1°/3/2017, quando hanno reclutato almeno 28 operai, dai quali acquisivano copia dei documenti di identità e dei tesserini di Codice fiscale da utilizzare per la compilazione dei contratti di lavoro e delle buste paga, e che, pur di lavorare, erano costretti a consegnare 10,00 euro al giorno a Iaia o ad Errico.
Le indagini, attivate a seguito della denuncia sporta da tre braccianti (un uomo e due donne) sicuramente favorita dalle notizie di stampa inerenti al contrasto del fenomeno illecito (cosicché è proprio alla Stampa che va un particolare ringraziamento degli inquirenti), sono iniziate con servizi di appostamento ed immediata acquisizione di informazioni da alcuni lavoratori che, in modo sospetto, entravano nell’abitazione di Iaia in San Vito dei Normanni e ne uscivano con assegni denotanti l’esercizio di attività di lavoro per l’azienda di Polignano a Mare. Sono poi proseguite con l’impiego di
-intercettazioni telefoniche
-intercettazioni ambientali,
-localizzazione mediante sistemi GPS,
-servizi di osservazione, pedinamento e controllo
-controlli sul rispetto della normativa in materia di circolazione stradale
-un’ispezione amministrativa nella suddetta impresa agro-alimentare con l’ausilio dei Carabinieri del Nucleo Ispettorato Lavoro di Bari
–acquisizione di tabulati telefonici e prospetti INPS.
Soltanto sul finire delle investigazioni, e per acquisire elementi di definitivo riscontro a ciò che era già stato oggettivamente appurato, sono stati ascoltati ventotto lavoratori (italiani e stranieri, di nazionalità rumena e marocchina, tra l’altro bisognosi, questi ultimi, di un lavoro per poter mantenere il diritto al Permesso di soggiorno), i quali, in sintesi, riferivano
-di essere stati assunti con contratto di lavoro per sei ore e mezza giornaliere ma di espletare almeno 10 ore e 30 minuti al giorno di lavoro;
-di percepire una minima parte dello straordinario eseguito, comunque calcolato dopo la decima ora e trenta minuti di lavoro e non dopo le 6 ore e trenta minuti;
-di partire alle ore 03:30 nei giorni feriali (alle ore 03:00 nei giorni festivi), da San Vito dei Normanni e Carovigno (03:45 giorni feriali e 03:15 giorni festivi), a bordo dei suddetti furgoni, per recarsi nelle campagne del barese o nel magazzino della società di Polignano a Mare, e di rientrare la sera non prima delle ore 19:00 e non oltre le ore 23:00;
-di essere costretti, stante lo stato di bisogno -oggettivamente constatato dalla Polizia giudiziaria-, ad accettare gli orari di lavoro imposti dagli intermediari e dall’impresa, dalle ore 05:30 fino alle 16:00 nei giorni feriali, dalle ore 05:00 alle 13:00 nei giorni festivi in luogo dell’orario contrattuale (6 ore e 30 minuti);
-di essere costretti a lavorare dalle 15 alle 19 ore giornaliere, compreso il viaggio di andata e ritorno, ovvero dalle 12:30 alle 16:30 ore giornaliere, escluso il viaggio;
-di corrispondere a IAIA € 10 per ogni giornata lavorativa espletata, che la stessa incassava subito dopo aver consegnato a ciascun lavoratore l’assegno dello stipendio;
-di lavorare senza soste (spuntino, pranzo e talvolta finanche i bisogni fisiologici), in alcune occasioni rinunciando al riposo settimanale poiché le frasi loro in continuazione rivolte erano “Se non vi sbrigate domani rimanete a casa; trovatevi un altro lavoro se ci riuscite“;
-di essere stati informati da Iaia che, in caso di controlli delle Forze di Polizia, avrebbero dovuto dichiarare, pena il licenziamento immediato qualora non avessero ottemperato a tali disposizioni,
–che la stessa IAIA era una operaia come le altre;
–che lavoravano per conto dell’impresa di Polignano a Mare per 6 ore e quaranta minuti al giorno;
–che l’autista non era mai lo stesso e dipendeva direttamente dal datore di lavoro.
Gli operai ricevevano ogni mese da Iaia l’assegno dello stipendio e relativa busta paga, insieme con un bigliettino manoscritto su cui era annotata la somma da restituire “in nero” per onorare il “debito” di 10 euro giornalieri, cosicché erano costretti ad incassare il controvalore dell’assegno in banca e tornare presso l’abitazione della donna per consegnare l’importo da “restituire” alla stessa Iaia o alla madre di questa, Anna Errico (detta “Memena”).
L’acquisizione di biglietti e appunti scritti di pugno della IAIA ha in tutto confortato l’assunto accusatorio, risultando evidente anche la prova del denaro che era preteso in danno delle vittime.
Iaia e Bello, dopo aver saputo delle convocazioni dei primi operai da parte degli inquirenti, hanno anche tentato d’inquinare le prove (inizialmente riuscendovi in parte), costringendo alcuni operai a negare la corresponsione dei 10 euro quotidiani.
A solo titolo di esempio, il certosino esame dei registri delle presenze e delle buste paga ha consentito di dimostrare che, a fronte di spettanze ammontanti ad € 96,29 per salario giornaliero, € 26 per indennità di viaggio ed € 9,68 per indennità di percorso pari a 50 minuti, per un totale complessivo di salario lordo pari a € 131,97, era stata corrisposta la paga giornaliera di soli € 59,53.
Le truffe in danno dell’I.N.P.S costituivano un corollario, ma ciò che è emerso risulta sintomatico della personalità degli indagati. Ancora una volta a mero titolo di esempio, in una conversazione intercorsa fra IAIA e due operaie fra quelle sue “predilette”, poiché utili per dividersi emolumenti pubblici erogati senza ragione, le parole usate sono state queste: “Tu non sai neanche quante giornate hai fatto! Non sai un cazzo! Quando avrai la disoccupazione mi devi baciare! Mi devi dare un bacio in fronte! Hai fatto 159 giorni … Quest’anno glielo abbiamo messo tutto nel culo … l’anno scorso hai fatto le marchette“, e “Perché se tu superi le 102 giornate, ti facciamo la domanda di disoccupazione … sono duemila euro non è che si trovano a terra“.
Il giudice ha rilevato, pertanto, una spiccata pericolosità sociale di Iaia, sottolineando che ella è “ben preparata sul funzionamento della disoccupazione agricola, toglie giornate alle operaie che hanno già raggiunto l’obiettivo e le registra ad altre e tiene i contatti con la consulente del lavoro impartendo disposizioni sui benefici previdenziali da far conseguire alle lavoratrici, così contribuendo nella falsificazione dei prospetti delle presenze giornaliere e mensili, delle buste paga, del Libro Unico del Lavoro, della documentazione contabile e fiscale della (società di Polignano a Mare) e delle relative comunicazioni all’I.N.P.S. mediante le quali risultavano assunte lavoratrici che in realtà non avevano mai espletato le ore registrate e sottese alla concessione del beneficio“.
Prima di condurre i tre indagati lì dove disposto al giudice, i Carabinieri hanno anche sottoposto a sequestro preventivo uno dei veicoli utilizzati per commettere i reati più gravi.
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