Così ha detto Virginia Raggi nel corso dell’incontro con Giovanni Malagò, il numero uno del CONI: «No alle Olimpiadi del mattone… Niente soldi alle lobby…». E il mio cuore si è riempito di gioia per l’annuncio che da tanto aspettavo. E mi sono anche un po’ inorgoglito perché in tempi non sospetti (7 luglio 2015), su questa testata avevo scritto “Olimpiadi? No grazie”.
Ebbene sì, anche se per un solo momento, mi ha accarezzato l’idea che la Raggi abbia potuto leggere l’accorato invito rivoltole affinché non recedesse dalla promessa di non appoggiare la candidatura di Roma.
L’amarezza, invece, è giunta poco dopo nel leggere l’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 22 settembre u.s. Premesso che Rizzo è uno dei giornalisti che più apprezzo, non ho digerito il contenuto del suo articolo “Giochi, occasione che Roma ha perso”.
Soprattutto quando afferma che “le Olimpiadi avrebbero potuto essere una prova di estrema maturità. La dimostrazione che gli appalti pubblici si possono fare anche senza corrompere e rubare, che le infrastrutture si possono realizzare senza sprechi inutili, che organizzare un grande evento non necessariamente equivale a inondare di cemento inutile la città e arricchire gli speculatori, che il disperato bisogno di normalità di questo Paese può finalmente tradursi in realtà, che Mafia capitale è morta e sepolta…”.
Eh no, caro Rizzo, non è così. Non mi risulta che i faldoni dove sono raccolte tutte le schifezze di Mafia capitale siano stati archiviati. E non credo che, con tutti i controlli di questo mondo, possa per incanto cambiare la mentalità degli italiani, quella “conclamata permeabilità alla corruzione” che prima dei Giochi di Rio un giornalista contestava a Malagò.
Né possono essere cambiate le opinioni del presidente del Comitato promotore Roma 2024 Luca Cordero di Montezemolo, e dei membri italiani del CIO Pescante e Carraro, e del segretario generale del CONI Fabbricini, e dello stesso Premier. Il Renzi che, per “dovere istituzionale” è volato a Rio, con tutta la famiglia al seguito, per perorare la candidatura di Roma, ricevendo dal presidente del CIO, Thomas Bach, una copia della torcia ed un’altra più piccola, in miniatura, per il figlio Emanuele!
Insomma, vi chiederete, perché sono fortemente contrario alle Olimpiadi romane? Preciso che non la penso come il giornalista Roberto Cotroneo quando afferma che “lo sport è un surrogato della guerra”. E nemmeno, sia ben chiaro, per motivi strettamente legati al partito della Raggi. Sono contrario per ragioni che ho ribadito nel mio più recente articolo di agosto (“Olimpiadi bugiarde) e che la sindaca di Roma ha aggiornato nella conferenza del 21 settembre.
La Raggi ha infatti citato le conclusioni di uno studio condotto dall’Università di Oxford nel quale si certifica che ben 19 città (comprese quelle dove si sono svolte le Olimpiadi invernali) hanno sforato di oltre il cinquanta per cento il budget preventivato al momento della candidatura. Addirittura Montreal ha registrato uno sforamento del 720%! E ha concluso che le Olimpiadi, allo stato dei fatti e non delle chiacchiere, sono “un assegno in bianco che firmano le città ospitanti”.
Naturalmente Malagò ha parlato di dati falsi, ma l’ha fatto in strada, non in conferenza. E ha lasciato intendere che quanto meno chiederà ragione del danno erariale subito dal Comitato. Non è detto però che non vada a fondo alla questione. Non si possono perdere tanti miliardi solo perché a un progetto di tal fatta si oppone una sindaca giovane e con solo qualche mese di anzianità.
Per quanto mi riguarda continuo a insistere sul fatto che non è il caso d’impiegare ingenti risorse nella costruzione di opere faraoniche che non vengono nemmeno terminate o che, subito dopo l’evento, vengono abbandonate. Abbiamo invece il dovere di pensare alla manutenzione del nostro vastissimo patrimonio ambientale e artistico. Importanti siti archeologici continuano a cadere pezzo dopo pezzo, musei e biblioteche di prestigio internazionale (e non solo) chiudono, il dissesto idrogeologico sta riducendo il Paese un colabrodo e qui si pensa a costruire ancora e ancora. Come diceva Oscar Wilde: «Siamo tutti immersi nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle».
Una dimostrazione del degrado in cui si trova la Capitale? Qualche giorno fa, navigando in Rete, sono incappato in un servizio sul Pincio, il giardino dei romani. E sono rimasto basito. Anche perché quel luogo mi riporta a un tempo lontano, molto lontano, quando vi passeggiavo con una fidanzatina romana. Ebbene, ho visto la statua del Valadier, l’architetto che progettò il colle, decapitata e con la targa oscurata da funghi e smog. Così come senza testa sono anche le statue di Plinio senior e dell’Ariosto, mentre quella di Pompeo è senza naso. Per non parlare delle panchine divelte, delle fontanine senz’acqua, del famoso orologio fermo da chissà quanto tempo… E si badi bene che solo una scalinata divide il Pincio da piazza del Popolo e dal centro di Roma!
E pensare che in un altro articolo del 2013 (“Il Pincio a Brindisi”) avevo suggerito che il Parco XIX Maggio (più noto come Parco del Cillarese) sarebbe potuto diventare una sorta di Pincio, arricchendolo con le statue dei tanti brindisini illustri e dei tanti personaggi storici che da qui sono transitati. Occorrono penne di maggiore peso perché certe proposte fatte per il bene della città vengano accolte e portate avanti. Ma questa, come direbbe Kipling, è un’altra storia. Che però, prima o poi, affronterò.
E ora avanti con le “priorità” di Roma, altrimenti questa rinuncia non sarà servita a nulla!
Guido Giampietro
Concordo con l’articolo. Fra l’altro nessuno dei tanti denigratori della Raggi si è mai sognato di proporre di far finanziare tutto ai privati, che avrebbero poi gestito in prima persona gli introiti. Penso si sarebbe smascherato il giochino, proprio perché questi grandi eventi sono a perdere. Mi stupisce che il Sindaco non ci abbia pensato.