June 14, 2025

Qualche giorno fa ho partecipato a San Pancrazio alla presentazione della nuova Associazione Articolo 49 su invito di alcuni vecchi “amici e compagni”(si diceva così una volta). Un’iniziativa nata con un obiettivo ambizioso: ridare forza alla politica, rilanciando il ruolo dei partiti. Da uomo di sinistra, ho sentito il bisogno di dare il mio contributo. E’ come andare controcorrente.

In un momento in cui la fiducia nella democrazia rappresentativa è in crisi e la distanza tra cittadini e istituzioni continua ad aumentare, è urgente tornare a riflettere sul valore della partecipazione e sulla funzione dei partiti, così come immaginata nella nostra Costituzione.
Due articoli, il 3 e il 49, ci offrono una bussola per orientarci.

L’articolo 3 parla di uguaglianza e giustizia sociale. Dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e che la Repubblica deve impegnarsi a rimuovere gli ostacoli – economici, sociali, culturali – che impediscono il pieno sviluppo della persona.
L’articolo 49, invece, riconosce a ogni cittadino il diritto di associarsi in partiti per contribuire democraticamente a determinare la politica nazionale.
Uguaglianza e partecipazione: sono queste le fondamenta della nostra democrazia. Ma è proprio qui che oggi si manifesta la crisi più profonda. I partiti non formano più classi dirigenti da tempo, anzi vanno alla ricerca di “ceti politici”. Lo fanno con una certa disinvoltura e in alcuni casi con spregiudicatezza pur di raccattare voti o di costruire alleanze “pur di vincere”.

Dagli anni ’90 in poi, con il crollo dei partiti storici, le formazioni politiche si sono trasformate: meno radicate nei territori, più legate ai leader, meno aperte al confronto. Le sedi sono state chiuse, la militanza si è ridotta, e il dibattito si è spostato online, dove spesso dominano la fretta e l’emotività.

Il risultato? Disillusione, disimpegno e astensionismo. Alle elezioni del 2022, più di un terzo degli italiani non ha votato. Nelle periferie e al Sud, l’astensione ha superato il 50%. Questo non è solo un segnale di disinteresse: è anche una nuova forma di disuguaglianza, che si somma a quelle economiche e sociali. Per non parlare poi della partecipazione ai referendum (quello di questa settimana è oltre ogni aspettativa da parte degli stessi promotori).

Chi vive in condizioni di marginalità – lavorativa, abitativa, culturale – è spesso tagliato fuori dalla vita pubblica. E allora torna attuale l’articolo 3: senza giustizia sociale non c’è piena cittadinanza, e senza cittadinanza non c’è democrazia vera.

Eppure, segnali di speranza non mancano. In questi anni sono nate tante esperienze civiche: comitati, reti sociali, movimenti per l’ambiente, per i diritti, per la solidarietà. Sono spesso lontani dai partiti, ma dimostrano che la voglia di partecipare c’è ancora. Solo che è dispersa, non organizzata, senza strumenti adatti. Da non confondere “le esperienze civiche” con “le liste civiche” soprattutto in Puglia!

 

Il problema non è “la gente che non partecipa”, ma la politica che non riesce più a offrire spazi credibili per farlo.
La sinistra, che storicamente ha dato voce ai lavoratori, agli ultimi, ai territori, dovrebbe essere la prima a sentire questa crisi come una sconfitta.

Oggi deve cambiare rotta. Deve tornare a costruire comunità politiche, a formare nuove generazioni, a parlare con le realtà civiche attive, a praticare davvero la democrazia interna.
Non bastano alleanze elettorali: servono luoghi di confronto, relazioni vere, partiti trasparenti e aperti.
Bisogna tornare allo spirito della Costituzione, non per nostalgia, ma per costruire una politica nuova: più giusta, più vicina, più umana. Come ci ricorda spesso anche il Presidente della Repubblica.

Ripartiamo da qui. Dai diritti, dalle persone, dai territori.
Da una sinistra che non abbia paura di cambiare e che sappia tornare tra la gente.
Una sinistra che sappia convivere con altre culture politiche, senza trasformismi, ma con rispetto e apertura.
L’esperienza dell’Associazione Art. 49, che sta nascendo a San Pancrazio, può diventare un punto di partenza: un luogo di confronto, di formazione e di dialogo, dove tornare a costruire non ceti politici, ma vere classi dirigenti, di cui c’è un gran bisogno anche a sinistra.Questo è il mio augurio.Ed è il contributo che ho cercato di dare.

 

Carmine Dipietrangelo

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