Cinque giornate. No, stavolta nulla di rivoluzionario o, peggio, di ricopiato da altri modus.
È il tempo che c’ha messo il Vinibus Terrae a farsi conoscere a Brindisi, a presentarsi con il suo format fatto di vino con tutta la Puglia dentro, sorseggi e simposi, salotti e sapori.
Un evento durato cinque giorni, nei quali Brindisi ha ragionato su ruoli e sfide, sulle mete di un settore che come un mare stretto tra due rive ispira rotte da scrivere e navigare.
Al centro della scena la città e le sue anime, la terra e il vino che è anche economia e un dichiarato generatore di turismo.
E già, il Vinibus ha tirato la volata alla Brindisi-Corfù, la regata che unisce le sponde con l’ansia di scoprire cosa c’è oltre la partenza. In tempi di crisi Brindisi studia le sue carte e forse disegna la rotta maestra. Valorizzare, unire, limare i protagonismi, fare un appello sobrio alle bellezze inesauribili di questa città. Puntando sul connubio tra sport, vini, enogastronomia e beni culturali.
È questo il paradigma di Brindisi, lo stesso che quattro imprenditori, Luigi Rubino, Pierangelo Argentieri, Giuseppe Danese e Teo Titi, con il loro irreplicabile intreccio di storie, hanno presentato in cinque giorni da copertina.
Il vino è il filo che attraversa le diversità pugliesi, la regata è il viaggio che ripete ogni volta l’occasione infinita di imparare e conoscere.
L’inizio e la fine di storie sempre nuove.
Stavolta la città ci ha pensato, così il Vinibus nasce dall’esperienza dialogante dei suoi artefici, ha unito i punti del rebus, tra vino e masserie didattiche, i territori della regione che fissano la geografia del gusto e i luoghi di una città che non smette di raccontare la sua storia.
Perché ne ha almeno due millenni in memoria.
E poi la cornice degli eventi, tra quelli di scoperta (non a caso il consorzio organizzatore si chiama «Discovery») come le masterclasses nell’ex Convento Santa Chiara, o di charming dei sapori come il Salotto del Vino nel foyer del Teatro Verdi, o di report del settore con giornalisti, sommelier e wine blogger nella sala università di Palazzo Nervegna, o come la tradizione della taranta immortalata sulla scalinata Virgilio, dove la città digrada sul mare.
Vinibus può segnare il giusto precedente.
Dal 2 al 6 giugno il vino si è messo in vetrina con le sue etichette designate, dalla Capitanata al Castel del Monte, dalle Murge alla Terra dei Messapi e al Salento, un davanzale con vista su distese color magenta (visual del Vinibus) che ha sbrancato e ricomposto i vini apparecchiati in riva all’Adriatico. Non solo filari di stand sulla banchina, bianchi di luce, ma degustazioni tecniche per gli addetti ai lavori, storie in pedana e in presa diretta di tante cantine che hanno scelto la Puglia per produrre vini con una marcata inflessione territoriale.
La Puglia spiega i suoi bei 400 chilometri, uno diverso dall’altro, allineati sull’asse vitivinicolo grazie all’influenza del mare e sulla molteplicità di cru esclusivi grazie alla infinita varietà di terre, di altitudini, di vitigni e di storie di uomini.
E poi c’è Brindisi, con le sue mille contraddizioni, gli affanni e i conflitti striscianti, la città autolimitante che con Vinibus ha deciso di spolverare le sue bellezze mettendoci dentro, un po’ per ambizione e un po’ per scommessa, una ricchezza assoluta della terra. Il vino di Brindisi è eccellenza per dono naturale, ma anche per la qualità e la maturità delle lavorazioni.
La prima edizione ha superato la messa a punto lasciando alle migliaia di visitatori il senso di una città che forse non ti aspetti: e ciò che scopri alla fine è una di quelle meraviglie che non credevi fosse possibile.
Non sappiamo se Vinibus Terrae avrà un seguito in futuro, ancor meno se riuscirà a diventare a regime uno spot di promozione per la città: in ogni caso, chi ha pensato al Vinibus ha centrato lo spirito del legislatore europeo nella nuova programmazione economica (2014-20), quello di valorizzare i contenitori attraverso i contenuti e le attività culturali.
Meglio se innovativi.
E poi la modalità del partenariato pubblico-privato che sembra essere il futuro dei beni culturali: il segreto della valorizzazione dei luoghi è saperli raccontare e stimolare la partecipazione delle persone.
Il vino e il suo “grado” spinto di promozione e di appeal possono invertire un bel po’ di imbarazzo e di immobilismo, trasformando i luoghi in scenari, i turisti in visitatori, i visitatori in esploratori e i prodotti in bellezza: specie se le bottiglie smettono di essere considerate totem di mercato per interpretare in senso assoluto il bello e il buono di questo territorio.
Il Vinibus Terrae ha voluto significare proprio questo.
In attesa di repliche, dritte e miglioramenti, la strada è già bella che tracciata e livellata.
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